Articolo correlato: KANT E LA PACE PERPETUA: PARTE PRIMA.
Articolo correlato: KANT E LA PACE PERPETUA: PARTE SECONDA.
Proseguiamo adesso con l’analisi degli articoli inseriti all’interno della seconda sezione del progetto kantiano:
- «La costituzione civile di ogni Stato deve essere repubblicana.» Kant sottolinea come la costituzione repubblicana di uno Stato debba – necessariamente – fondarsi su tre principi fondamentali: la libertà riconosciuta a ciascun membro della società – in quanto essere umano -, la dipendenza che vincola ciascun individuo ad una comune legislazione – l’illuminista utilizza, in tal senso, il termine “suddito” – e l’eguaglianza di trattamento dinanzi a leggi che, per l’appunto, devono essere uguali per tutti – in questo caso, la dicitura è proprio quella di “cittadino” –. Per quanto concerne il diritto strincto sensu, la costituzione repubblicana è l’unica carta costituzionale civile tale da permettere il riconoscimento di queste suddette tre qualifiche. La domanda che si pone il filosofo è se sia anche l’unica in grado di guidare gli Stati al perseguimento della pace perpetua. Kant si affida ad un ragionamento logico-politico alquanto immediato da discernere. All’interno di una costituzione repubblicana, infatti, il suddito è anche cittadino; questo significa che qualora la cittadinanza si dovesse esprimere a favore di una guerra, la stessa dovrebbe poi assumersi la responsabilità delle calamità dello scontro armato, verso il quale ha espresso giudizio favorevole. Nelle altre costituzioni, invece, il Capo dello Stato è il “Padrone dello Stato” e gli uomini, che formano il contesto sociale, sono solo sudditi, e non cittadini. In questo caso la guerra può essere dettata da tanti fattori, anche i più egoistici ed irresponsabili, dato che sia la Nazione stessa che la sua cittadinanza vengono valutati alla stregua di meri oggetti di cui poter liberamente disporre. La riflessione sulla costituzione repubblicana viene poi integrata da un’altra interessante osservazione da parte di Kant. Il filosofo tedesco evidenzia, infatti, come, molto spesso, possa capitare di confondere una costituzione repubblicana per una democratica. Stando alle parole di Kant, una forma di Stato può essere classificata sulla base o della «forma di dominio» – forma imperi – o della «forma di governo» – forma regimis -. Nella prima vengono elencate le seguenti tre forme di Stato: autocrazia, aristocrazia e democrazia. In breve, la forma imperi si caratterizza per l’andare a “vedere” quante siano le persone a detenere il potere statale – uno, alcuni o tutti -. Nella seconda, invece, Kant menziona la repubblica ed il dispotismo. Il repubblicanesimo si fonda sulla separazione del potere esecutivo da quello legislativo; il dispotismo, dal canto suo, è «il principio statale dell’esecuzione arbitraria, da parte dello Stato, di leggi che esso stesso ha dato, e dunque la volontà pubblica viene adoperata dal governante come sua volontà privata.» È interessante constatare come per Kant la democrazia sia, invero, un dispotismo: nella democrazia, infatti, tutti deliberano su tutto e nel caso in cui vi sia anche un solo “uno” che sia restio a dare il proprio consenso, tutti allora deliberano, in pratica, contro quell’uno; si tratta di un “tutti” che però non è un vero “tutti”, provocando così una contraddizione all’interno del significato più puro di volontà generale. È una riflessione profondamente “figlia dei Lumi” – si pensi a Tocqueville – e che sarà poi oggetto di ulteriori approfondimenti futuri – come, ad esempio, in Thoreau -. Vi è poi il tema della rappresentanza che deve, necessariamente, venire menzionato. Secondo Kant, ogni forma di governo deve essere anche rappresentativa, onde evitare che il legislatore sia esecutore diretto della sua stessa volontà. L’illuminista sostiene che mentre l’autocrazia e una forma di governo aristocratico possano rendere difficile l’instaurazione di canali di rappresentanza politica, la democrazia rende del tutto vano il raggiungimento di questo fine «perché in essa ognuno vuole essere signore.» Kant, infatti, afferma che tanto più piccolo è il numero di governanti – cioè di persone che detengono il potere statale – tanto più estesa sarà la rappresentanza politica che formerà quella forma di governo;
- «Il diritto delle genti deve essere fondato su un federalismo di liberi Stati.» Secondo Kant i popoli possono essere giudicati come singoli uomini che, trovandosi gli uni vicino agli altri, necessitano della formazione di una costituzione (analoga a quella) civile tale che diritti e doveri degli uni siano riconosciuti e richiesti dagli altri. Il tutto per assicurare la valenza del diritto lato sensu – concetto giuridico di natura trascendentale all’interno della filosofia kantiana -. Una (eventuale e/o ipotetica) “federazione di popoli” non viene intesa, dall’illuminista tedesco, alla stregua di uno “Stato di popoli”: ogni Stato, sostiene Kant, si fonda su di un rapporto tra chi fa le leggi e chi obbedisce alle medesime. “Stato di popoli”, dunque, è un’aporia: se molti popoli formano uno Stato, in realtà di un solo ed unico popolo si tratta. Kant afferma che «la ragione, dal trono del supremo potere moralmente legislativo, condanna in modo assoluto la guerra come procedimento giuridico e viceversa fa dello stato di pace un dovere immediato, che però senza un contratto fra popoli non può essere istituito o assicurato […].» Il passaggio è particolarmente importante non solo perché evidenzia l’aspetto contrattualistico del pensiero kantiano, ma anche perché mostra come in Kant l’ottimismo antropologico sovrasti, in effetti, il pessimismo storico. Come avremo modo, infatti, di cogliere più avanti, il perseguimento della pace perpetua tra gli Stati non appare essere utopico. Al contrario. Secondo l’illuminista il progresso umano non fa altro che procedere (lentamente) verso il raggiungimento di questo obiettivo finale. A tal riguardo, Kant parla di una «confederazione pacifica» – foedus pacificum – di Stati (e popoli), distinta però dal mero trattato di pace – pactum pacis -, per via del fatto che, mentre la seconda desidera porre fine ad una guerra, la prima tende a rendere vane tutte le guerre. Il foedus pacificum non implica l’acquisizione di un particolare tipo di potere da parte di uno o più Stati, ma solo la salvaguardia delle libertà di tutti gli Stati confederati. Il federalismo auspicato da Kant trova nel repubblicanesimo il proprio centro politico-istituzionale di riferimento e nei precetti dell’Illuminismo la propria fonte di giustificazione concettuale: questa idea deve diffondersi presso tutti gli Stati, permettendo così il perseguimento, tra gli stessi, della pace perpetua; ecco perché è necessario che vi sia un Paese (illuminato) che si organizzi costituzionalmente in una repubblica, di modo così da divenire il punto di riferimento centrale dell’unione federativa per tutti gli altri Stati;
- «Il diritto cosmopolitico deve essere limitato alle condizioni della ospitalità universale.» Ancora una volta le parole dello stesso Kant suonano come alquanto esaustive: «[…] ospitalità significa il diritto di uno straniero di non essere trattato ostilmente quando arriva sul suolo di un altro. Quest’ultimo può allontanare il primo quando ciò accada senza che ne consegua la rovina; ma sinché quello straniero sta pacificamente al suo posto, non lo può accogliere ostilmente.» Nuovamente, la riflessione kantiana appare essere figlia del pensiero umanitaristico dei Lumi; Kant afferma che un tale diritto, riconosciuto allo straniero, non si fondi tanto sul mero «diritto di essere ospitato» quanto, piuttosto, sul «diritto di visita, che spetta a tutti gli uomini, di proporsi come membri della società per via del diritto al possesso comune della superficie della Terra […].» Una tale e reciproca comunicabilità è il primo passo da compiere verso il perseguimento del diritto cosmopolitico.
Ricordati di votare l’articolo, se vuoi, utilizzando il tasto rate this all’inizio del post.