VOLTAIRE E L’ANIMA DELL’UOMO: PARTE PRIMA.


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Voltaire tratta il concetto di anima, in special modo, all’interno del Dictionnarie philosophique:

Sarebbe bello vedere la propria anima. Conosci te stesso è un ottimo precetto, ma solo a Dio è concesso metterlo in pratica: chi altri può conoscere la propria essenza? Chiamiamo anima ciò che anima. Non ne sappiamo di più, a causa dei limiti della nostra intelligenza. I tre quarti del genere umano non vanno oltre, e non si fanno carico dell’essere pensante; l’altro quarto cerca; nessuno però ha trovato, né troverà.

L’incipit iniziale adottato da Voltaire appare, fin da subito, particolarmente indicativo. L’illuminista mette immediatamente le mani avanti, affermando come la concezione ontologica di ciò che viene comunemente chiamata âme non può appartenere e non può essere formulata da un singolo essere umano. Tentare di definire il concetto di anima risulta, dunque, secondo l’illuminista, impossibile perché riuscire in una tale impresa significa travalicare e trascendere i limiti imposti alla raison dell’uomo. La convinzione di fondo è, per l’appunto, che una tale onniscenza appartenga solo a Dio. Due sono, quindi, le tematiche prettamente deiste che fin da subito il philosophe pone in chiaro. In primis, non è assolutamente necessario sfruttare il proprio intelletto per comprendere un qualcosa che non ci appartiene: la ragione e l’intelligenza devono essere utilizzate per il giusto apprezzamento delle leggi naturali e non per formulare assurde ricerche astratte, piene di speculazioni, nella speranza e nella convinzione assurda ed illusoria che tutto questo possa avvicinare l’uomo a Dio – un Dio che, per sua volontà, si mantiene, comunque, sempre distaccato e distante dagli affari terreni -. In secundis, Voltaire, anticipando quando andrà sostenendo in seguito nel Dizionario filosofico, evidenzia come queste tematiche, così inutili e prive di ogni utilità, siano in realtà campo d’indagine e di studio per tutti coloro che alimentano la propria vita religiosa e spirituale per mezzo del fanatismo e dell’intolleranza. Questo perché le esegesi e le interpretazioni formulate su aspetti sacri come l’anima di un uomo divengono, inevitabilmente, assolute e dogmatiche, finendo con il negare così ogni possibilità di critica e/o tentativo di confronto.

Innanzitutto vediamo ciò che sai, e di cui sei certo: che cammini con i piedi, che digerisci con lo stomaco; che senti con tutto il corpo, e che pensi con la testa. Vediamo se la tua sola ragione ha potuto darti lumi sufficienti per arrivare, senza un soccorso soprannaturale, alla conclusione che hai un’anima. I primi filosofi, fossero caldei o egizi, dissero: «Esiste necessariamente in noi qualcosa che genera i nostri pensieri; questo qualcosa deve essere estremamente sottile: un soffio, un fuoco, un etere, una quintessenza, un lieve simulacro, un’entelechia, un numero, un’armonia.» Infine, secondo il divino Platone, è un composto dell’identico e dell’altro. «Degli atomi pensano in noi», ha detto Epicuro seguendo Democrito. Ma, amico mio, com’è che pensa un atomo? Ammetti che non ne sai nulla.

In quanto deista, Voltaire sviluppa questa sua riflessione, seguendo uno schema ben preciso. Si affida a degli excursus storici per cercare di definire una storia del pensiero umano attorno al concetto di anima. La citazione di Epicuro, difatti, non risulta essere casuale. E non è nemmeno dettata da mere motivazioni di cronaca letteraria. Come ho già avuto modo di sostenere in riferimento al deismo inglese seicentesco, gli epicurei, in quanto atei convinti, professavano sia la non immaterialità che la non immortalità dell’âme. A Voltaire preme, come sappiamo, abbattere sia le credenze degli ateisti sia quelle dogmatiche e secolarizzate del clero. Questa scena dialogica risulta essere particolarmente utile – anche da un punto vista prettamente stilistico! – al libertino per meglio sviluppare la propria riflessione.

L’opinione cui dobbiamo in ogni caso attenerci è che l’anima è un ente immateriale; quel che è certo è che non concepiamo cosa sia questo ente immateriale. «No», rispondono i sapienti, «ma sappiamo che la sua natura è di pensare.» «E come lo sapete?» «Lo sappiamo, perché pensa.» O sapienti! Temo proprio che non siate meno ignoranti di Epicuro: la natura di una pietra è di cadere, perché essa cade; ma io vi domando, chi la fa cadere?

Questo è il passaggio in cui lo scientismo e l’influenza newtoniana entrano di diritto in gioco per consentire a Voltaire di sostenere la sua tesi: una pietra cade perché vi è una precisa legge naturale spiegata e compresa, quella gravitazionale, per l’appunto. Quale potrebbe essere mai la legge naturale che può permetterci di definire l’anima come un’entità senziente e di sostenere, al contempo, che la sua stessa natura sia proprio quella di pensare? Prosegue il filosofo:

«Noi sappiamo», proseguono, «che una pietra non ha anima.» D’accordo, lo credo anch’io. «Sappiamo che una negazione e un’affermazione non sono divisibili, non sono parti della materia.» La penso come voi. Ma la materia, del resto a noi sconosciuta, possiede qualità che non sono materiali, che non sono divisibili: la gravitazione verso un centro, che Dio le ha dato. Ora, questa gravitazione non ha parti, non è divisibile, la forza motrice dei corpi non è un essere composto di parti. La vegetazione dei corpi organizzati, la loro vita, il loro istinto, nemmeno essi sono esseri a parti, esseri divisibili; non potete tagliare in due la vegetazione di una rosa, la vita di un cavallo, l’istinto di un cane, più di quanto non possiate tagliare in due una sensazione, una negazione, un’affermazione. Il vostro bell’argomento, fondato sull’indivisibilità del pensiero, non prova dunque un bel niente.

Il deismo di Voltaire si fonda sulla raison. Ed è proprio in conseguenza di un uso corretto della ragione che il filosofo giunge a sostenere l’impossibilità per l’essere umano di spiegare un qualcosa che non può essere spiegato. La legge gravitazionale, stando alla logica dei deisti, appare come una legge naturale che fino a quel momento non era stata compresa e razionalizzata solo a causa dell’incapacità dell’uomo di coglierla e studiarla. Ma l’âme trascende la materia e la mortalità: le due caratteristiche portanti di ogni corpo. Per i deisti l’anima è immortale ed immateriale. Voltaire nel Dizionario filosofico, nel tentativo di trattare l’anima, si limita, dunque, ad evidenziare l’impossibilità umana di definirla con termini precisi e scientifici. Tant’è che il richiamo rivolto al Creatore ed all’onniscenza divina ritorna subito: «Cos’è che chiamate allora la vostra anima? Che idea ne avete? Da soli non potete, senza rivelazione, non ammettere in voi altra cosa che un potere a voi ignoto di sentire, di pensare.» Ciò che è doveroso non perdere mai come punto di riferimento è che il deismo fu sempre una religione legittimata, prima che dalla trascendenza o dalla metafisica, da una razionale comprensione critica di sé medesima. La ragione ne è il fondamento: ogni contenuto o precetto religioso, di cui il deismo va costituendosi, filtra per la capacità critica dell’uomo.

Il sostenere l’immaterialità e l’immortalità dell’anima è (anche) per i deisti un compromesso, dettato dalla razionalità, per evitare di trattare e di definire, in termini assoluti, quegli argomenti particolarmente delicati attorno ai quali le incomprensioni ed i fanatismi si sono sempre originati e diffusi. L’accettazione di essere costituiti per volontà divina di un qualcosa che trascende la natura stessa dell’uomo – e che, anche per questo motivo, non può essere spiegato – non delegittima il fondamento concettuale del deismo: comprendere le leggi naturali attraverso l’uso della raison e vivere di conseguenza la propria spiritualità nel rispetto degli insegnamenti virtuosi di un Dio misericordioso e compassionevole.

Ed ora ditemi, in fede, questo potere di sentire e di pensare è lo stesso che vi fa digerire e camminare? Ammetterete di no, giacché il vostro intelletto avrebbe un bel dire al vostro stomaco: digerisci; quest’ultimo non farà nulla se è malato; il vostro essere immateriale ordinerebbe invano ai vostri piedi di camminare, se hanno la gotta non si muoveranno. I greci hanno ben compreso che spesso il pensiero non aveva niente a che fare con il gioco dei nostri organi; per questi organi hanno ammesso un’anima animale, e per i pensieri un’anima più fine, più sottile, un voũs. Ma ecco che quest’anima del pensiero, in mille occasioni, ha giurisdizione sull’anima animale. L’anima pensante ordina alle mani di prendere, e queste prendono. Non dice al cuore di battere, al sangue di scorrere, al chilo di formarsi; tutto ciò avviene senza di lei: due anime, queste, alquanto confuse e assai poco padrone in casa loro.

Da un certo punto di vista, può quasi sembrare che l’anima per Voltaire non sia altro, in realtà, che l’intelligenza e la ragione umana. L’intelletto è la vera âme di un uomo? O, ad ogni modo, si identifica con il suo utilizzo illuminato e critico, privo e libero da ogni restrizione e/o indottrinamento religioso et similia?Sembra quasi che per davvero il deismo venga abbracciato come credo e professione religiosa esclusivamente per i soli concreti risvolti sociali e politici di cui si rende portavoce (tolleranza ed umanitarismo fra tutti). Ma cadere in errore può essere facile.

Indipendentemente da quanto realmente creda il patriarche de Ferney in Dio o nell’aldilà, il deismo si presenta, sempre e comunque, come una religione razionale, critica e fondata sulla raison. In ogni caso, se l’anima effettivamente coincida (o non) per i deisti con l’intelligenza umana o sia, addirittura, oggetto di una trascendenza divina, l’unico modo per “elevarla”, così da render merito al Creatore di un tale dono, risiede nell’uso corretto della ragione medesima. Dunque, per una semplice deduzione logica, l’avvicinarsi a Dio ed il comprenderne perfettamente i precetti impartiti all’umanità sarebbe possibile solo attraverso l’uso di una mente illuminata e libera da preconcetti. A Voltaire, questo interessa e questo basta. La raison e la morale deista, che di conseguenza da essa deriva, devono sempre rimanere i punti di partenza per ogni analisi critica della realtà. Anche di una realtà prettamente spirituale o astratta, come quella concernente la questione sull’anima dell’uomo, ad esempio.

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