LA FELICITÀ SPETTA AI VIRTUOSI. L’INFELICITÀ È DEI MALVAGI.


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L’etica di Boezio si sviluppa attorno a due dinamiche concettuali ben definite: “volontà” e “potenza” (da intendersi come “forza”). Ogni atto umano, sostiene il filosofo, al fine di essere posto in essere, necessita tanto di una forza di volontà quanto di un “potere” tale da non rendere suddetta volontà vana, inadatta e/o fine a sé medesima. L’intera riflessione di Boezio è articolata in maniera tale da veicolare l’ascoltare ad accettare un ben preciso “assioma morale”: i “buoni” sono più potenti e volenterosi dei “malvagi”, ai quali, quindi, è preclusa la vera felicità.

Se, infatti, il fine ultimo di ogni attività umana è il perseguimento del “Sommo Bene”, la vera “volontà” e la vera “potenza” sono da ascrivere soltanto a coloro che riescono a perseguire e raggiungere tale fine. A differenza dei “malvagi”, gli uomini virtuosi non si accontentano di beni superflui ed illusori. Né, tanto meno, prediligono percorrere sentieri più facili ed alternativi. L’appagamento del malvagio, dunque, è quanto di più fugace ed illusorio possa mai esistere: non solo, infatti, egli non si palesa mai essere in grado di raggiungere la vera felicità ma, per di più, resta un individuo caratterizzato da una forza di volontà inferiore rispetto a quella del alter ego:

Guarda dunque quanto siano soggetti a debolezza gli uomini viziosi; essi non arrivano neppure alla mèta dove li inclina l’istinto naturale e quasi li spinge la volontà: e che sarebbe se loro mancasse eziandio questo grande invincibile aiuto della natura che li guida? Considera poi quanto sia la loro impotenza, poiché non cercano soltanto doni leggeri e vili (neppure questi possono talora conseguire), ma sfugge alle loro brame la principale, la massima di tutte le cose; i miseri non ottengono, quello che giorno e notte è l’unico oggetto dei loro sforzi, mentre a ottenerlo riesce eccellente il valore dei buoni.

Se il Bene, quindi, è ciò verso cui tutti tendono e ciò per cui ogni atto viene compiuto, i virtuosi non verranno mai privati del proprio “premio”. Quest’ultimo può venire meno soltanto nel momento in cui i “buoni” decidono di divenire “malvagi”: «[…] ma siccome il buono è quello che dà la bontà a sé stesso, egli potrà perdere il suo premio soltanto se cessa di essere buono.» A questo punto, però, Boezio interroga la Filosofia circa un tema particolarmente cruciale: come arrestare l’avanzata delle azioni malvagie?

Il filosofo è ben consapevole che la presenza di uomini non virtuosi altro non rappresenti che la fonte della diffusione di azioni peccaminose e pericolose. Pericolose per la sopravvivenza stessa degli altri individui. La conclusione cui giunge il senatore romano è tanto filosofica quanto intrisa di moralità:

Parrà a taluno inconcepibile ciò che dico, ma gli uomini perversi sono più infelici quando riescono a soddisfare le loro brame di quando non riescono; e se è deplorevol cosa il voler commettere le iniquità, è ancora più deplorevole l’averle potuto commettere, senza il qual potere mancherebbe l’effetto della sciagurata volontà. […] Se la malvagità rende infelici, più infelice sarà quel che invecchia nel male, e infelicissimo lo stimeremmo, se la morte almeno non venisse a prescrivere un fine alla sua iniquità.

Il “malvagio”, dunque, è tre volte sconfitto. Pecca di volontà e potere e, a differenza dell’uomo virtuoso, mai e poi mai potrà tendere al Bene – a patto che non decida di cambiare sé stesso -. Conduce un’esistenza nella quale andrà – inevitabilmente! – rammaricandosi delle azioni commesse – si tratta di una consapevolezza duplice, a dire il vero: alla sopracitata, infatti, è da aggiungere una seconda, stando alla quale il “malvagio” si capacita tristemente della sua difficoltà a comportarsi rettamente -. Inoltre, la sua vita sarà per sempre segnata dall’odio e dal disprezzo altrui.

Inoltre, essendo il “malvagio” alienato in toto dal “Sommo Bene”, egli stesso sarà da considerarsi più felice nel momento in cui la certezza della pena incomberà su di lui. In sintesi: i malvagi che espiano le proprie colpe sono più felici di coloro che – per il momento – sono riusciti a fuggire alla Giustizia:

Hanno dunque i cattivi, quando sono puniti, qualche sollievo o annessione di bene, ed è la pena stessa che soffrono, la quale è un bene per ragione di giustizia; mentre quando mancano di punizione, soffrono un aumento di male, e questo è la loro stessa impunità, la quale hai riconosciuta essere un male, a cagione dell’ingiustizia che racchiude.

La riflessione di Boezio verte, quindi, interamente sul concetto di Bene. Ogni azione che veicola allo stesso altro non fa che produrre e generare felicità – è l’esempio del “malvagio” che “gode” nel vedersi punito per i propri misfatti o, invertendo il punto di vista, del “malvagio” che soffre ulteriormente perché non giustamente punito (il tutto è da intendersi, per l’appunto, come un “ulteriore allontanamento” dal “Sommo Bene”) –.

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