REPUBBLICA, LIBRO IX: IL TIRANNO.


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L’introduzione all’analisi approfondita del tiranno parte da una interessante riflessione circa i desideri dell’uomo. Platone, infatti, avvia una lettura profondamente psicologica, sostenendo che soltanto coloro che si affidano alla ragione sono in grado di tenere assopiti gli istinti più malvagi e viziosi. È proprio grazie a questa virtuosa funzione di “controllo” e “filtraggio” che il saggio, a differenza dell’uomo comune, riesce a dormire serenamente e a non finire con il divenire succube della rivalsa di suddetti desideri e piaceri:

Ma un uomo saggio e temperante che si accinga a dormire dopo avere risvegliato la propria ragione e averla nutrita di bei discorsi e studi, in pace con se stesso, senza irritare la parte concupiscibile del suo animo né con il digiuno né con una nutrizione eccessiva affinché si addormenti e non turbi l’anima razionale né con la gioia né con il dolore, anzi lasciandola sola con se stessa a meditare qualcosa che ignora del passato o del presente o del futuro; un uomo che abbia placato la parte emotiva senza essersi adirato con nessuno e vada a dormire senza turbamenti emotivi, ma abbia sopito quelle due parti e messo in moto la terza, la sede della riflessione, e così riposi: allora, come sai, in simile condizione egli afferra nel modo più profondo la verità e non gli appaiono affatto quelle empie visioni di sogno.

La riflessione di Platone è particolarmente interessante e moderna, sebbene mancante della conoscenza circa la profonda complessità insita nel simbolismo del sogno strincto sensu; non a caso lo stesso Freud farà menzione proprio di alcuni passaggi de La Repubblica all’interno della sua opera L’interpretazione dei sogni (1899).

La “genesi” dell’uomo tiranno segue di conseguenza;

Dunque, quando gli altri desideri ronzano attorno a lui pieni d’incensi, di profumi, di corone, di vini e dei piaceri dissoluti propri di simili compagnie, e alimentando e accrescendo all’estremo il pungiglione del desiderio lo conficcano nel fuco, allora questo capo dell’anima viene scortato dalla follia e si agita, e se sorprende in sé qualche opinione o desiderio ritenuto onesto e ancora provvisto di ritegno, lo sopprime e lo butta fuori dal suo cuore, fino a purificarsi delle temperanza e a riempirsi di follia acquisita.

Il tiranno è, quindi, succube del piacere e vive, solo ed esclusivamente, per accrescere il godimento che trae dal perseguire i propri interessi privati ed individualistici. Il problema, sostiene Platone, è che la sottomissione dell’anima razionale agli istinti più violenti ed avidi che possono mai germogliare entro il cuore di un uomo, rende quest’ultimo schiavo di una infinita catena di tormenti ed illusori appagamenti. L’oggetto del desiderio, infatti, oltre che labile e fugace, non riesce mai a saziare il desiderio di volere del tiranno, il quale, vivendo nel timore di perdere tutto ciò che possiede, dedica la propria vita alla continua protezione della sua ricchezza, nonché alla mistificante accumulazione della stessa. È un circolo vizioso senza fine:

Chi è completamente dominato in cuor suo dalla tiranna di Eros, credo che passi tutto il suo tempo tra feste, piaceri, banchetti e cortigiane. […] Ma quando non resta più nulla, non è inevitabile che i desideri acuti e violenti gridino come pulcini, colpiti dal pungiglione di altri desideri e soprattutto dall’amore stesso, di cui tutti gli altri desideri sono le guardie del corpo al seguito? Allora quell’uomo si agita e cerca di sottrarre qualcosa a qualcuno con l’inganno o la violenza. […] Ma quando gli verranno a mancare i beni paterni e materni, e lo sciame dei piaceri si sarà ormai raccolto in lui, non tenterà dapprima di forzare il muro di qualche casa o di rubare il mantello di un viandante sorpreso a tarda notte, e poi non giungerà a spogliare un tempio? E in tutto ciò le vecchie idee sul bene e sul male, che egli seguiva nell’infanzia, saranno dissolte da quelle appena liberate dalla schiavitù dalle guardie del corpo di Eros, che in sua compagnia vinceranno. Quando egli era ancora sottoposto all’autorità del padre, e democratico in cuor suo, queste idee trovavano sfogo solo nel sonno. Ma per la tirannia di Eros talora diviene da sveglio qual era in sonno, e non si asterrà da nessun terribile delitto né da alcun cibo o da alcuna scelleratezza. Eros, che dimora tirannicamente fra l’anarchia e la sfrenatezza totale del suo cuore, assunto il potere sovrano, esporrà il suo suddito ad ogni rischio, come accade ad uno Stato, purché ne traggano vantaggio egli stesso e il suo seguito disordinato, e i compagni giunti da fuori con le cattive compagnie e quelli di dentro, liberati e scatenati dalle stesse abitudini.

L’uomo “peggiore”, quindi, è colui che «da sveglio agisce come in sogno», in quanto privo sia di razionalità sia di una qualsivoglia forma di controllo nei riguardi dei suoi desideri ed istinti. Platone, arrivato a questo punto della trattazione, chiude, dunque, il cerchio dell’intero disquisire: l’uomo più malvagio è indubbiamente il più infelice. La riflessione ritorna sul grande tema iniziale dell’intera opera: la felicità del giusto e l’infelicità dell’ingiusto.

Platone promuove una comparazione tra uomo e Stato: se l’uomo tirannico è il più infelice, allora lo Stato tirannico è la peggiore forma di Stato esistente… al contrario, non esiste realtà più prospera di quella monarchica – l’uomo regale, infatti, è il più felice, secondo Platone -. Ancora una volta la struttura del dialogo non è casuale, bensì serve al filoso greco per esporre, in modo lineare, i motivi per cui la felicità appartiene al giusto e l’infelicità all’ingiusto. Procediamo, quindi, con ordine:

  • la “prima prova” è legittimata proprio dall’argomentazione circa il parallelismo tra individuo e Stato. Se il tiranno è schiavo dei propri desideri ed è alieno da qualsivoglia forma di ragione, allora lo Stato che ha eretto e che governa non è affetto da alcuna libertà. Si tratta di una realtà in cui dominano la paura, la violenza, la passione, l’avidità et similia:

In realtà, anche se qualcuno non la pensa così, il vero tiranno è un vero schiavo per la sua estrema servilità e bassezza, ed è un adulatore dei peggiori, ed evidentemente non può soddisfare in alcun modo i suoi desideri, anzi manca di moltissime cose e agli occhi di chi sappia scrutare il fondo del suo animo, appare davvero povero, e pieno di paura, di convulsioni e di dolori par tutta la vita […].

  • la “seconda prova” viene giustificata dalla tripartizione dell’anima. Ad ognuna di queste parti, corrisponde un preciso tipo di uomo – e, quindi, di Stato -. Platone ne approfitta per ribadire come soltanto il filosofo sappia nutrirsi del vero piacere – la conoscenza – e sia in grado di giudicare – in quanto si affida alla ragione -:

Dunque, sebbene i piaceri siano tre, forse può essere il più dolce quello che concerne la parte dell’anima con cui apprendiamo, e la più dolce l’esistenza di colui che da questa parte è governato?

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