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Spinoza afferma che «noi non sentiamo, né percepiamo nessuna cosa singolare oltre i corpi e i modi del pensare.». Ovvero: tanto la ragione ci sprona ad asserire l’esistenza di una sostanza infinita dotata di infiniti attributi, tanto l’esperienza (empirica) ci illumina circa la comprensione di solo e soltanto due di questi infiniti attributi: pensiero ed estensione. La natura umana, quindi, si rende “partecipe” solo nei riguardi di questi due.
Il passo successivo riguarda il modo attraverso il quale da una sostanza eterna ed infinita – Dio – seguono le “cose finite” – mutevoli e limitate nel tempo – che occupano la percezione e l’esperienza empirica dell’uomo. Ed è proprio il termine “modo” – di rimando semantico cartesiano – a ricoprire un ruolo di primo piano. Partiamo, allora, dalla seguente domanda: “Cos’è il “modo” spinoziano?”. Spinoza definisce “modo” tutto ciò che segue dalla natura di Dio ma che, al contempo, non si identifica con la sua stessa natura e, quindi, con i suoi attributi eterni ed infiniti. Dato che dall’infinito deriva solo l’infinito, le prime conseguenze degli attributi infiniti di Dio sono, a loro volta, eterne ed infinite. Trattasi dei “modi immediati infiniti”: «tutte le cose, che seguono dall’assoluta natura di un certo attributo di Dio, hanno dovuto esistere sempre e come infinite, ossia sono eterne e infinite per lo stesso attributo». Ad esempio, l’idea di Dio altro non è, in termini spinoziani, che un modo immediato infinito dell’attributo eterno ed infinito del pensiero – o, rigirando il punto di vista, altro non è che una delle prime conseguenze del pensiero infinito ed eterno di Dio -. “Moto” e “quiete” sono, invece, modi immediati infiniti dell’attributo eterno ed infinito dell’estensione: essi indicano il movimento dei corpi e rappresentano le leggi che ne regolano l’esecuzione. I modi immediati sono eterni ed infiniti, in quanto prime conseguenze degli attributi eterni ed infiniti che caratterizzano la natura di Dio, ma, a differenza degli attributi, hanno delle “limitazioni” rispetto all’infinità (nel suo genere) dell’attributo dal quale derivano: l’intelletto divino, ad esempio, è un modo immediato infinito del pensiero ma si distingue dagli altri modi immediati infiniti dello stesso attributo – come, tanto per citarne uno, dalla volontà -. Prestiamo attenzione però.
Intelletto e volontà sono modi immediati infiniti dell’attributo eterno ed infinito del pensiero. Questo significa che intelletto e volontà appartengano sicuramente a Dio, ma non che si identifichino con l’essenza eterna ed infinita di Dio. In quanto modi immediati infiniti degli attributi eterni ed infiniti di Dio, essi fanno parte di ciò che Spinoza chiama «natura naturata» ovvero l’insieme di “ciò che consegue dalla natura di Dio”. La «natura naturante», al contrario, è formata dal pensiero e dall’estensione ovvero dagli attributi infiniti che costituiscono l’essenza eterna ed infinita di Dio. Anche i modi immediati infiniti, in quanto prime conseguenze degli attributi infiniti, sono necessari all’esistenza e all’operare di Dio. Ad esempio, nonostante il Dio di Spinoza si palesi essere un Dio immanente e non trascendente, il movimento non è impresso dall’esterno ma è conseguenza della natura (eterna ed infinita) della materia (e del suo attributo: l’estensione). Torniamo al quesito iniziale ovvero al passaggio dall’infinito al finito.
Spinoza elabora la seguente induzione logica:
dall’attributo eterno ed infinito dell’estensione seguono i modi immediati infiniti della quiete e del movimento
↓
dall’applicazione del movimento e della quiete all’attributo dell’estensione ne consegue l’insieme di tutti i corpi finiti che compongono l’Universo
↓
l’intero Universo allora è la conseguenza dell’applicazione delle leggi del movimento
Ecco allora che il passaggio dalla «natura naturante» alla «natura naturata» sancisce la transizione dall’infinità ai corpi finiti. Il passaggio delicato ed importante da comprendere è il seguente però. L’Universo, seppure composto da corpi finiti e limitati temporalmente, è eterno ed infinito, ma non perché la somma di corpi finiti dà come risultato l’infinità ma, bensì, perché l’intero Universo è una conseguenza dell’estensione, in quanto il movimento è un modo immediato eterno ed infinito della stessa. E dato che l’estensione è un attributo eterno ed infinito di Dio, l’Universo è eterno ed infinito perché conseguenza della natura eterna ed infinita dell’Altissimo. Entra in gioco allora la questione della temporalità, ovvero dell’esistenza “determinata”.
Spinoza afferma che Dio è causa sia dell’esistenza sia dell’essenza dei corpi finiti, ma si tratta di una causalità che non può essere la stessa che produce i modi infiniti perché dall’infinito segue solo l’infinito. Gli enti finiti, quindi, devono essere prodotti anche da altri enti finiti, la cui esistenza, a loro volta, deve avere un inizio ed una fine:
Ogni cosa singolare, ossia qualunque cosa che è finita e ha una determinata esistenza, non può esistere né essere determinata ad agire se non sia determinata ad esistere e ad agire da un’altra causa che è anch’essa finita e ha una determinata esistenza.
Si tratta, dunque, di una vera e propria “catena causale” che rimanda all’infinito e che è composta da enti finiti, tutti causati, a loro volta, da altri enti finiti. Prestiamo attenzione: questo non significa che un singolo corpo finito possa esistere e/o essere inteso senza fare riferimento alla sostanza estesa cui si riferisce. Significa, piuttosto, che la causalità divina, quando concerne i corpi finiti, debba essere descritta secondo una determinazione finita. Riassumendo ancora di più il concetto: dato che trattasi di una “catena”, il singolo evento fisico non può essere definito solo appellandosi alle leggi infinite che regolano il movimento e/o alla estensione infinita ma, bensì, anche prendendo in considerazione tutti i corpi finiti e determinati che (nella catena) hanno preceduto (e causato) quell’evento fisico medesimo.
L’intero Universo – facies totius universi -, dunque, si palesa come un modo immediato infinito dal duplice aspetto:
- da una parte esso contiene tutte le conseguenze necessarie dei corpi in movimento. Esse sono eterne e determinano l’essenza dei corpi finiti;
- dall’altra parte, invece, queste stesse essenze sono determinate e si susseguono lungo una vera e propria catena causale – ovvero si sviluppano all’interno di una concatenazione misurabile in termini di durata (temporalità).
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