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Ai due principi concernenti l’epistemologia aristotelica analizzati fino ad ora, hyle e eîdos – rispettivamente, come abbiamo visto, “materia” e “forma” (intellegibile) – vanno ad affiancarsi quelli di dýnamis e enèrgeia. La coppia “potenza/atto” tende ad affermare che un ente, per Natura, è “propriamente sé stesso” quando si trova in atto piuttosto che in potenza. Si tratta della visione finalistica e teleologica dello stato delle cose naturali, verso le quali, per l’appunto, la Natura ha predisposto un fine ultimo, un divenire, un virtuale atto di potenza. Nuovamente, occorre prestare particolare attenzione.
Secondo Aristotele, la coppia “materia/forma” e quella “potenza/atto” si differenziano l’un l’altra per una ragione ben precisa. La prima, infatti, ha il compito di definire la “struttura statica” e la “anatomia teorica” degli enti presenti in natura. La seconda, invece, illustra le dinamiche di formazione degli enti stessi, la loro fisiologia, ed è il motivo per il quale tale coppia finisca con il divenire ciò che regola ed ordina gli interi processi naturali – di movimento e mutamento -. Anche ai principi di “atto” e “potenza” viene assegnata un’unità analogica – solo e soltanto analogica -:
L’atto è l’esistere della cosa non nel modo in cui diciamo che è in potenza. Diciamo in potenza, ad esempio, un Ermete nel legno e una semiretta nella retta, dato che la si potrebbe suddividere […]. Quel che intendiamo dire è evidente per induzione nei casi particolari e non bisogna ricercare la definizione di ogni cosa, ma anche esser capaci di cogliere l’analogia: che cioè come chi costruisce sta a chi è capace di costruire […]. Di queste differenze correlate, chiamiamo il primo membro con la denominazione di atto, l’altro è potenza. Ma non tutte le cose sono dette in atto allo stesso modo, bensì per analogia.
Gli “assiomi d’ordine” aristotelici possono essere esposti nel modo seguente:
- “nessun ente può trovarsi in atto se precedentemente non si è trovato in potenza e affinché tale ente si realizzi è necessario che esso stesso non sia impossibile“;
- “l’atto è anteriore alla potenza secondo tre ordini: concettuale, sostanziale e cronologico“. Nel primo caso possiamo dire, ad esempio, che il materiale di cui disponiamo sia già potenzialmente di per sé una casa, se possediamo la nozione della medesima. Nel secondo caso, l’attuazione – la casa costruita – rappresenta il fine dei processi di generazione – la costruzione della casa -, ovvero, tornando all’esempio di cui sopra, la casa è anteriore ai materiali perché gli stessi sono stati raccolti con l’idea di realizzare la stessa. Nel terzo ed ultimo caso, l’anteriorità è da intendersi a livello di specie: ad esempio, è vero che il seme spermatico – “uomo in potenza” – pre-esiste l’uomo, ma affinché vi sia il seme deve esserci il padre dell’uomo (in stato di potenza) – quindi l’atto uomo è anteriore alla potenza seme -.
- “non tutto ciò che si trova in potenza diviene atto; la transizione si realizza solo se nessun fattore esterno la ostacola“. Aristotele, in questo modo, si ritaglia la possibilità di evidenziare dispersioni ed eccezioni nella regolazione dei processi naturali. Ma, nonostante questa ultima accezione, resta indubbio il fatto che movimento e mutamento siano legittimati dalla coppia “potenza/atto”. Ciò che conduce l’ente dalla potenza all’atto è definito con un termine ben preciso: entelècheia. Si tratta di un artificio, di un neologismo che sta ad indicare come un qualcosa porti con sé il fine – tèlos – cui è destinato. Si tratta della teleologia aristotelica. Da un seme di quercia nascerà – salvo impedimenti – solo e soltanto un albero di quercia perché insito nel seme stesso vi è il fine della sua realizzazione: il divenire una quercia. Tutto questo permette ad Aristotele di affermare come la realtà sensibile segua e sia soggetta a ben precise regole e non ad una casualità priva di qualsivoglia forma di ordine.
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