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I pensieri e le credenze appartengono a “categorie metafisiche” differenti. I pensieri sono atti mentali – e, quindi, veri e propri eventi -; le credenze, al contrario, sono stati mentali (o disposizioni mentali). In quanto “stato”, la credenza è una proprietà legittimata da chi la crede, per l’appunto. Non è un evento. Non è un qualcosa che accade e che “detiene” parti temporali – giustificanti il suo stesso avvenire, ad esempio -. In genere, afferma Crane, la struttura di una credenza si fonda sull’enunciato del tipo “A crede che B” dove “B” è l’enunciato, “A” il portatore della credenza e la congiunzione “che” forma la cosiddetta that-clause – cioè introduce una proposizione che potrà poi essere ritenuta veritiera o falsa -. Si tenga a mente che la credenza è un modo intenzionale, ovvero un contenuto (atteggiamento) proposizionale di uno stato mentale intenzionale. Il giudizio e l’asserzione, ad esempio, sono atti mentali (pensieri) che possono stringere forti relazioni con una credenza (atteggiamento proposizionale). L’asserzione, per l’appunto, altro non è che la manifestazione linguistica di una credenza, così come il giudizio ne può essere la formazione. La caratteristica fondamentale della credenza, all’interno della filosofia della mente, risiede nel fatto di crederla; una credenza “nutrita” deve necessariamente essere creduta (dal credente). Inoltre le credenze possiedono conseguenze “attuali” e/o “potenziali”; credere significa anche avere obiettivi e questo comporta il porre in essere determinati comportamenti e scelte per perseguire scopi pre-fissati.
Le credenze non sono mai coscienti, ma questo non pregiudica il fatto che si possa essere (ovviamente) coscienti delle proprie credenze. Il ragionamento logico non è particolarmente complesso. Riprendiamo la proposizione di cui sopra, “A crede che B”. Se “A” vuole scoprire se crede “che B”, allora dovrà rispondere alla domanda “se B” (sia vero). Quindi, credere “che B” implica l’essere coscienti “che B” (esista/sia vero). Dunque, si può essere coscienti “di B” mentre “A” si chiede “se B” (sia vero). Ecco perché l’essere coscienti “che B” è distinto dall’essere coscienti “di B”.
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