TRA IDENTITÀ SOCIALE ED IDENTITÀ PERSONALE.


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Per ciascun stigmatizzato è fondamentale il sapere controbilanciare, tra di loro, la propria identità personale con quella più prettamente sociale. La mole d’informazioni possedute ed il grado di conoscenza, di cui sono custodi i “normali”, sono fondamentali per il raggiungimento di tale equilibrio. Ogni volta che un soggetto stigmatizzato entra in contatto con individui normali, l’identificazione, che quest’ultimi sviluppano su di lui, verte inevitabilmente sulla identità sociale dello stesso. Il fatto è che, partendo da essa, gli individui possono poi anche dare vita ad una identità personale del portatore dello stigma. Essa può divenire più o meno estesa: dipende dal grado di conoscenza posseduta nei riguardi del medesimo – questo causerà un forte o labile senso di anonimia -. Al contrario, un’anonimia assoluta non è possibile che si origini in seno all’identità sociale dello stigmatizzato.

Goffman utilizza il cosiddetto «riconoscimento cognitivo» per sottolineare le procedure e le dinamiche (cognitive e sociali) tramite le quali un qualsiasi individuo viene posto nei confronti di una precisa identità sociale e personale:

IDENTITÀ SOCIALE → Stigma sociale

IDENTITÀ PERSONALE → Controllo ed agnizione delle informazioni relative al possesso dello stigma sociale (carriera morale, visibilità et similia)

IDENTITÀ DELL’IO → Auto-discernimento del proprio stigma sociale

In relazione all’identità dell’io, possiamo esporre due dinamiche di particolare rilevanza:

  1. può verificarsi il caso che il portatore dello stigma sociale venga messo all’erta dal non fare come propri taluni atteggiamenti che siano manifestamente riconducibili allo stigma medesimo. Il tutto per “ingraziarsi” il giudizio dei soggetti normali;
  2. potrebbe anche accadere che lo stigmatizzato decida di comportarsi “normalmente”, dando così l’impressione che sia il possesso dello stigma sia lo stesso non rappresentino, per il medesimo, alcun tipo d’impedimento e/o di ostacolo. È possibile considerare il tutto alla stregua di un tentativo di bilanciare l’auto-accettazione di sé stesso con quella non propriamente assoluta, rivolta allo stigmatizzato dai normali. Goffman parla di passaggio da una «accettazione fantasma» ad una «normalità fantasma».

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