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Adesso analizziamo la seconda ed ultima parte dell’appendice del progetto kantiano, concernente il perseguimento della pace perpetua tra gli Stati ed i popoli:
- «Dell’accordo della politica con la morale secondo il concetto trascendentale del diritto pubblico.» Kant chiarisce, fin da subito, ciò che chiama «formula trascendentale del diritto pubblico»: «Tutte le azioni riguardanti il diritto di altri uomini, la cui massima non si accordi con la pubblicità, sono ingiuste.» Comprendiamo, quindi, quanto rilevante sia il concetto di “pubblicità” all’interno del pensiero kantiano: ogni “pretesa giuridica” e/o “massima politica” deve essere pubblica, sostiene il filosofo, di modo che di essa possa venirne colta la eventuale falsità (faziosità) – la pubblicità, infatti, è considerata alla stregua di una vera e propria “attitudine della ragion pura”; in questo modo è possibile giudicare i principi stessi che stanno alla base dell’agire (umano) –. La suddetta formula che sta alla base del diritto pubblico è di natura tanto etica quanto giuridica; Kant, difatti, afferma che ogni principio giuridico debba sempre essere “professato pubblicamente a priori”, perché altrimenti, qualora fosse tenuto segreto, non dichiarato apertamente – con l’intento di essere reso così più facilmente universale -, è probabile che minacci la libertà e/o il diritto di qualcuno. Sul tema della “pubblicità del diritto” le riflessioni kantiane si mostrano essere, per l’ennesima volta, profondamente esaustive ed approfondite. Nuovamente tutta quanta l’argomentazione coinvolge le tre forme del diritto pubblico: quello dello Stato, quello del popolo (o delle genti) e quello internazionale (o cosmopolitico). Andiamo con ordine: 1) per quanto riguarda il diritto dello Stato, Kant sofferma la sua attenzione sul diritto di ribellione dei popoli – strumento sì violento, ma che, secondo il filosofo, è legittimo qualora servisse per abbattere un governo tirannico e/o dispotico -. La ribellione, essendo per sua stessa natura “manifesta”, potrebbe essere comunque un’arma a doppio taglio per i sudditi – qualora, per l’appunto, dovesse poi fallire -. Kant afferma proprio come sarebbe del tutto “inutile” gridare in seguito all’ingiustizia, nel caso di eventuali ritorsioni mosse contro di loro dal Capo dello Stato. In breve: nonostante la trascendentalità del diritto pubblico imponga che il diritto a ribellarsi venga reso pubblico, dovendo il popolo dotarsi di un potere superiore a quello del Capo dello Stato per poterlo detronizzare, affinché esso riesca nel suo intento, sarà necessario tenerne segreto l’esercizio – segretezza che non riguarda direttamente però il Capo dello Stato, il quale può rendere pubbliche tutte le eventuali forme di ritorsioni che si ritaglierà di esercitare in caso di ipotetiche rivolte popolari -; 2) sul versante del diritto del popolo, è la presenza stessa di uno stato giuridico, tale da legare liberamente – e non in modo coattivo – gli individui in una associazione «permanentemente libera» e fondata su di una precisa dinamica contrattuale, a contenere, già di per sé, la propria pubblicità giuridica e a consegnare ad ognuno (pubblicamente) i propri diritti e doveri; 3) infine, per quanto concerne il diritto cosmopolitico, Kant ribadisce l’importanza di una federazione libera di Stati (repubblicani), all’interno della quale morale e politica (e prudenza politica) coesistano.
Prima di concludere la trattazione sul tema kantiano della pace perpetua, si consideri per un attimo questi ultimi due punti. Il punto terzo, infatti, permette, di risolvere – attraverso, quindi, una realtà sovra-nazionale – la “non corrispondenza” tra politica e morale. In sintesi, Kant elenca tre situazioni in cui il diritto delle genti non coincide con la morale. E questo perché del tutto impossibile – e sconveniente – renderlo pubblicamente manifesto – mentre abbiamo appena visto come sia doveroso che la pubblicità stia alla base della formula trascendentale del diritto pubblico -. Analizziamo questi tre casi:
- “nel caso in cui la presenza di un piccolo Stato interrompesse la continuità territoriale di uno Stato più grande – continuità magari anche fondamentale per la sua stessa sopravvivenza -, quest’ultimo sarebbe autorizzato a conquistarlo e/o ad annetterlo?”: in questo caso, rendere pubblica questa massima lederebbe, fin da subito, gli interessi dello Stato più grande, persuadendo, per l’appunto, i più piccoli a coalizzarsi in tempo e per tempo – senza contare che lo Stato più piccolo potrebbe pure divenire “la preda” di un terzo Stato -;
- “qualora uno Stato cresca militarmente e desti preoccupazione a Stati terzi e/o limitrofi, il primo può avere il diritto di conquista e ai secondi può venire riconosciuto il diritto di attaccare anche in assenza di un’offesa subita?”: rendere pubbliche tale massime renderebbe profondamente vana ogni politica finalizzata al perseguimento della pace perpetua;
- “se uno Stato, vincolato ad altri Stati sulla base di promesse di aiuto e/o di assistenza e/o di alleanza et similia, fosse costretto, per motivi di varia natura, a venire meno alla parola data, come muterebbe la sua immagine internazionale?”: si tratta proprio della riflessione a cui Kant rivolge maggiore attenzione. Uno Stato che apioricamente rendesse pubblico il ritagliarsi il diritto di venire meno agli accordi presi qualora sorgessero situazioni di varia natura, finirebbe con l’isolarsi da qualsivoglia relazione internazionale.
La pubblicità delle suddette massime politiche è, perciò, sconsigliata in tutti e tre i casi.
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