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Un altro scritto di assoluta importanza per l’intera filosofia kantiana è quello datato 5 Dicembre 1783 tramite il quale il filosofo tedesco espone la propria risposta alla domanda “Cos’è l’Illuminismo?”. Kant sostiene che per “Illuminismo” di debba intendere l’uscita dell’uomo dallo “stato di minorità” di cui egli stesso è colpevole; dove per “minorità” sia da intendersi «l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro» – in questa rivendicazione risiede tutto l’umanitarismo dell’Epoca dei Lumi – e per “colpevole” il fatto stesso che suddetta minorità non sia imputabile al non possesso di un intelletto quanto piuttosto alla mancanza di coraggio di farne un corretto ed illuminato uso: «Sapere aude! Abbi il coraggio di usare il tuo proprio intelletto! Questa è dunque la parola d’ordine dell’Illuminismo».
L’interpretazione di Kant si rivela essere particolarmente brillante (e moderna). In quanto illuminista, il ripudio della violenza e dell’insurrezione armata resta un punto fermo all’interno della sua filosofia; Kant afferma che il perseguimento dello spirito illuministico non possa essere raggiunto soltanto attraverso la detronizzazione (violenta) dell’impianto istituzionale dispotico e solo “ubbidendo ciecamente” a quanto professato dalle varie avanguardie culturali. Si tratta di una lettura geniale e fortemente intuitiva – basti pensare al destino che avrebbe poi atteso la Francia ed i vari Robespierre, Babeuf e via discorrendo -. Il popolo deve sì essere guidato, ma il processo di acculturazione in grado di elevarlo intellettualmente richiede tempo ed accortezza. Il ragionare attorno al tema dell’indottrinamento ideologico e a quello della stupidità di seguire pseudo “salvatori della Patria”, senza perdersi un attimo a meditare se a tutto questo si vada accompagnando (anche) lo sviluppo di una coscienza critica, è una riflessione tanta kantiana quanto volterriana:
Perciò un pubblico solo lentamente può raggiungere l’Illuminismo. Con una rivoluzione avrà luogo forse una caduta del dispotismo personale e dell’oppressione avida di guadagno o di potere, ma mai un’autentica riforma dell’atteggiamento di pensiero; nuovi pregiudizi, invece, serviranno altrettanto bene dei vecchi da dare per la gran massa che non pensa.
Ciò che, invece, legittima e gratifica il perseguimento di un indole illuminata è la libertà. E non una libertà specifica ma quella più assoluta e generica di tutti: «[…] la libertà di fare in tutti i campi pubblico uso della propria ragione.» Cosa, dunque, è di ostacolo all’affermazione dell’Illuminismo e cosa, al contrario, ne agevola l’affermazione? A tal proposito, Kant propone la distinzione tra “uso pubblico” ed “uso privato” della ragione:
Ma per uso pubblico della propria ragione io intendo quello che ciascuno fa di essa come studioso dinanzi all’intero pubblico dei lettori. Chiamo uso privato quello che egli può fare della sua ragione in un certo impiego o ufficio civile a lui affidato.
L’uso pubblico della ragione deve essere sempre libero, mentre quello privato limitato e ristretto. Il primo permette il perseguimento dell’Illuminismo; il secondo non deve impedirlo. Kant è ben consapevole che, in riferimento a determinate mansioni e nei riguardi di determinati contesti socio-lavorativi, non si possa sempre rivendicare un uso pubblico del proprio intelletto. Il soldato, ad esempio, deve ubbidire. Senza se e senza ma. Ma può – anzi deve – anche affidarsi ad un uso privato della propria ragione che possa consentirgli di sviluppare critiche ed osservazioni da indirizzare (ad esempio) sul servizio militare, e lasciare che le stesse vengano poi sottoposte a giudizio pubblico. Il cittadino – tanto per fare un altro esempio – deve pagare le tasse ma, allo stesso tempo, può acculturarsi e ritenere talune delle ingiuste imposizioni. L’importante, com’è facile intuire, è promuovere sempre la crescita dello spirito critico.
La domanda che si pone, infine, Kant è, dunque, se la fase storica (a lui contemporanea) possa essere ritenuta, o meno, un’epoca illuminata: «La risposta è: no, ma certo in un’età dell’Illuminismo.» L’aspetto, che impedisce a Kant di sostenere di vivere in un periodo illuminato della storia dell’uomo, dipende de facto dalla presenza ancora oppressiva dell’oscurantismo dogmatico delle ortodossie secolarizzate:
Che gli uomini presi nel loro insieme, per come ora stanno le cose, siano o possano anche soltanto essere messi in condizione di servirsi in cose di religione del proprio intelletto con sicurezza e bene, senza la direzione altrui, è cosa a cui manca ancora moltissimo.
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