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La retorica è analoga alla dialettica. Entrambe infatti vertono su oggetti la cui natura è tale che conoscerli è in un certo qual modo patrimonio comune di tutti e non di una scienza determinata.
Innanzitutto, quindi, il primo punto di contatto tra la retorica e la dialettica risiede nel fatto che entrambe non godano di uno specifico ambito di competenza. A questo si aggiunge l’evidenza di come tutte e due trattano argomentazioni le cui premesse hanno una natura di èndoxa, ovvero di opinioni diffuse e autorevoli – questione che abbiamo già evidenziato nel secondo livello della conoscenza aristotelica -. Esiste però una differenza sostanziale, secondo Aristotele, tra la retorica e la dialettica. Quest’ultima, infatti, si rivolge a questioni speculative, situate fuori dall’azione umana e dal “possibile” (concetto già citato in riferimento alla tragedia). Inoltre la dialettica necessita di un pubblico in grado di seguire e discernere argomentazioni complesse. La retorica, al contrario, tratta questioni che «sembrano ammettere possibilità alternative» – il che significa che essendo l’argomento stesso “possibile”, diviene lecito deliberare sullo stesso (del resto, logica alla mano, come si potrebbe disquisire su un qualcosa di impossibile?) – e si rivolge ad un pubblico che non è in grado di «cogliere con uno sguardo d’insieme molti elementi di una questione né di fare una lunga catena di ragionamenti».
Uno degli argomenti di maggior rilievo all’interno dell’opera è l’arte della persuasione, verso cui lo stesso filosofo dedica i primi due dei tre libri che vanno formando la Retorica. Aristotele espone diversi strumenti e distinte modalità di persuasione. Alcune di queste non sono propriamente “tecniche”, come, ad esempio, le testimonianze che vengono prodotte nel corso di un dibattito; non sono frutto dell’arte oratoria dell’oratore ma resta indubbio il fatto che il medesimo debba palesarsi in grado di saperle “gestire” e “sfruttare”. Per quanto riguarda, invece, le modalità tecniche, Aristotele fornisce a tal riguardo una specifica tripartizione:
- “capacità di argomentare”: si tratta della forma oratoria più cara al filosofo ed è legittimata dalla capacità di persuadere l’ascoltatore attraverso il discorso, al fine di dimostrare il vero – o ciò che appare essere vero – grazie a ciò che, per l’appunto, appare essere persuasivo. Aristotele sostiene come l’argomentazione si distingue a sua volta in paràdeigma – “esempio” – e enthýmema – “entimema” -. L’esempio è una induzione ma non gode, nella visione aristotelica, di alcuna generalità: si parte da premesse particolari per giungere a conclusioni sempre particolari. Un esempio banale può essere il seguente: un soggetto che chiede di avere una guardia del corpo è un soggetto che aspira al potere, in quanto altri soggetti, che avevano avanzato la medesima richiesta, avevano, per l’appunto, palesato la medesima ambizione. L’entimema è, invece, un sillogismo. Il sillogismo aristotelico è un ragionamento concatenato di tipo dimostrativo – se A è B e C è A, allora B è C –. Molto spesso, all’interno della Retorica, i sillogismi aristotelici risultano incompleti perché è la stessa entimema ad omettere alcune premesse che, secondo il filosofo, sono già ampiamente implicite nella discussione e nella mente dell’ascoltatore – e non è, quindi, necessario esporle, di modo così da non appesantire troppo la conversazione stessa -. Facciamo un esempio: “Se nemmeno gli Dei sanno tutto, difficilmente possono saperlo gli uomini” – in questo caso si premette la superiorità della conoscenza divina su quella degli uomini -;
- “carattere”: come sostiene lo stesso Aristotele si può «avere persuasione attraverso il carattere quando il discorso venga pronunciato in maniera tale da rendere credibile colui che parla, poiché alle persone oneste crediamo di più e più rapidamente»;
- “sentimento”: anche il pathos è particolarmente importante. Un oratore, che riesce ad obbligare i propri ascoltatori a provare determinati sentimenti, può ritrovarsi in grado di indirizzare i loro giudizi e le loro stesse opinioni – si pensi, ad esempio, alle arringhe degli avvocati rivolte alle giurie popolari -. L’attività persuasiva dell’oratore nei riguardi del pathos è particolarmente approfondita nella Retorica: non si tratta, infatti, solo di mostrarsi in grado di persuadere emotivamente l’ascoltatore quanto, piuttosto, il riuscire anche a leggerne in modo apriorico lo stato d’animo ed il punto di vista, così da poter comprendere verso quali emozioni affidarsi per “smuoverlo” a proprio favore.
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Provola titolo interessante e chiaro soprattutto perché deve approcciarsi all’arte della retorica da un’interpretazione chiara e corretta della filosofia aristotelica
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