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Riassumiamo, arrivati a questo punto della trattazione, l’iter di analisi della fenomenologia husserliana:
atteggiamento fenomenologico
↓
riduzione fenomenologica
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percezione fenomenologica
↓
datità assoluta e purezza del percetto
Abbiamo sostenuto che quanto percepito attraverso un’esperienza fenomenologica finisca con l’essere colto “in sé e per sé”, messo “fuori circuito” dalla natura – ovvero dalla esperienza empirica – e privato di ogni riferimento naturale (compreso sia quello spaziale che temporale) – pur riferendosi sempre ad una verità prospettica -. L’esperienza fenomenologica porta a considerare qualsiasi oggetto della nostra percezione ed intuizione alla stregua di un semplice “questo”. Assoluto. Imprescindibile. Posto “fuori circuito”. E svincolato da ogni rapporto di legalità e da ogni riferimento spazio-temporale. Come afferma lo stesso Husserl: «Se nell’atteggiamento fenomenologico ci dirigiamo sulla percezione, la afferriamo come un “questo!” del tutto immediato e in quanto unità di una durata. E, se non aggiungiamo null’altro e assumiamo puramente la posizione compiuta con il “questo!”, se qui prendiamo questa percezione puramente come questo elemento perdurante, allora ogni dubbio perde il suo senso.»
Husserl sostiene che «Questo “stato” è un dato, è un “questo!”, ma in quanto appena stato e in quanto fase data del passato dell’oggetto perdurante che è dato.» Ebbene questa formulazione permette di comprendere come, in termini di atteggiamento fenomenologico, dobbiamo porci nei riguardi delle percezioni passate, come esse debbano essere “rivolte” nei riguardi di quelle presenti e se i ricordi possano o meno ingannare la nostra stessa coscienza percettiva. Il filosofo dissolve questa ipotetica impasse epistemologica, affermando come si debba sempre rivolgere l’intuizione e la percezione fenomenologica all’adesso! della percezione (dell’intuizione) medesima. L’adesso! è il punto limite dell’atteggiamento fenomenologico. Ammettendo questo e considerando la stessa ritenzione un essere fenomenologico, si giunge a concepire nell’atteggiamento fenomenologico la presenza di un’implicita trascendenza.
Ma non solo. Secondo il filosofo, ogni riduzione fenomenologica può portare anche a “cogliere” un qualcosa che potrebbe non esser stato individuato dall’esperienza fenomenologica, ma che è ad essa connessa e legata. Ma anche se non sono «connessioni intenzionate» – cioè accolte a seguito di una esperienza dell’atteggiamento fenomenologico – sono legate alla riduzione stessa. Senza ombra di dubbio. Husserl parla, dunque, anche di “immanenza nella trascendenza fenomenologica”.
Ora, nella immanenza fenomenologica possiamo avere nuove trascendenze? La domanda può apparire complicata, ma in realtà il quesito è particolarmente logico da capire. In poche parole: il ricordo di un’esperienza passata – che quindi torna nell’adesso! husserliano ed “integra” in modo trascendente l’immanenza fenomenologica – è indubitabile o crea inganno agli occhi del fenomenologo? Si tratta cioè di comprendere se il principio dei “sensi ingannatori” possa essere posto anche nei riguardi dell’atteggiamento fenomenologico. Ebbene, Husserl afferma che il ricordo – la «rimemorazione» – possa anche ingannare. Anzi, a detta del filosofo, il ricordo fenomenologico inganna tanto quanto quello empirico. Il fatto è che nella «rimemorazione» empirica può essere sempre prodotta una «rimemorazione» fenomenologica – esattamente, ad esempio, come in una “attesa empirica” può essere originata un’attesa dettata dalla percezione dell’intuizione fenomenologica; dopotutto si tratta “solo” di passare dall’atteggiamento naturale a quello fenomenologico, durante la fase percettiva dell’intuizione medesima -. Se, quindi, il ricordo empirico può ingannare, può farlo anche quello fenomenologico. Addirittura, se nella «rimemorazione» empirica cogliessi più vissuti e/o percetti, l’atteggiamento fenomenologico sarebbe (forse) anche più ingannatore, dato che potrebbe portare, erroneamente, a cogliere i suddetti sì “in sé e per sé” ma all’interno di una logica di simultaneità o di consequenzialità, ad esempio – mentre, invece, come abbiamo più volte sostenuto, la purezza del percepito fenomenologico non deve essere vincolata da nessuna relazione di legalità -.
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