IMMANENZA E TRASCENDENZA IN HUSSERL.


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Arrivati a questo punto, dobbiamo però fare un attimo di chiarezza in seno al dualismo “immanenza/trascendenza”, all’interno della filosofia di Husserl. Soprattutto per non incappare in errori. Potremmo pensare che col termine “immanenza” ci si riferisca ad un oggetto che è dato a noi nella sua pienezza e purezza dell’essere. Ed è questa una logica che non possiamo accettare a priori. Con “trascendenza”, d’altro canto, potremmo essere veicolati a ritenere che esista un Assoluto, oltre alla mera datità, dal quale i contenuti della nostra coscienza percettiva traggono giustificazione. Ma anche questa chiave di lettura sarebbe, oltre modo, ingannevole.

Le “oggettualità” – usiamo adesso questo termine per indicare i contenuti delle percezioni – che cogliamo – nel senso anche sia del ricordo (“rimemorazione”) che dell’attesa – si presentano trascendenti – vi è sempre un “al di là” del nostro punto di vita percettivo -, ma anche immanenti, proprio perché si manifestano a noi, per loro stessa natura, in modo immanente, per l’appunto. Ora, come afferma lo stesso Husserl:

Le oggettualità sono singolarità individuali che, attraverso la riduzione fenomenologica e, più precisamente, attraverso la percezione fenomenologica, divengono disponibili per noi in quanto assolute datità in se stesse. Dall’altro lato, però, divengono disponibili per noi anche attraverso la ritenzione, la rimemorazione, l’attesa, l’empatia fenomenologiche.

In poche parole, con il termine “trascendenza”, il fenomenologo deve rivolgersi al fatto che:

[…] l’oggetto di conoscenza non è presente esso stesso nell’atto di conoscenza […]. Ora, appartiene propriamente all’essenza della relazione intenzionale (cioè alla relazione tra coscienza e oggetto di coscienza) che la coscienza, cioè la relativa cogitatio, sia coscienza di qualcosa che non è essa stessa. E questo vale anche nel caso dell’intuizione fenomenologica.

Mentre sul versante dell’immanenza:

[…] l’elemento immanente è il campo della fenomenologia, nella misura in cui intendiamo la fenomenologia come una possibile scienza di oggetti individuali, portati all’immanenza attraverso la completa messa fuori circuito della natura. Al lato della trascendenza appartiene quindi la natura. Infatti, la natura è appunto un titolo che abbraccia la totalità delle oggettualità che si presentano attraverso manifestazioni. La fenomenologia non intende dunque mettere fuori circuito la trascendenza in ogni senso.

La distinzione tra immanenza e trascendenza non è finalizzata ad un mero separare un “interno” da un “esterno”; si tratta, invece, di evidenziare l’evidente differenza che si palesa nel semplice apparire. In poche parole: l’oggetto che si manifesta ha sempre un “qualcosa in più” (trascendenza) rispetto alla sensazione (percettiva ed immanente) tramite la quale si mostra al percipiente.

Husserl sostiene come la nostra coscienza percettiva possa veicolarci a formare vere e proprie “catene di cogitationes“, capaci di creare delle “correnti di conoscenza” per ogni singolo io percipiente. All’interno di queste concatenazioni intellettive e conoscitive, potremmo essere portati a far dipendere alcune intenzionalità da altre, sollecitando, in questo modo, la formazione di particolari legalità (di simultaneità, di consequenzialità, ecc.). Ciò che è sempre importante ricordare è che l’atteggiamento fenomenologico deve vertere sempre sull’oggetto “in sé e per sé”. Facciamo un esempio.

Ipotizziamo che io stia ascoltando più suoni. Mi soffermo sul primo e su di esso avvio la riduzione fenomenologica. Metto, dunque, in stand by tutti gli altri, ignorandoli sul momento e legandoli a quello su cui ho soffermato l’atteggiamento fenomenologico. Il fatto è che le eventuali legalità (di simultaneità, di consequenzialità, ecc.) non possono trovare spazio nella riduzione de facto. Ma, al massimo, solo nella “rimemorazione” – torna il discorso relativo al “ricordo ingannatore” -: «La ritenzione e la rimemorazione costituiscono quindi, con queste operazioni in esse possibili, una coscienza di esperienza fenomenologica, purché noi non facciamo uso di alcuna posizione di natura.»

Quindi, ciò che otteniamo dalle riduzioni fenomenologiche finisce col costituire una “corrente di conoscenza”, avente legami e connessioni tra le esperienze e le manifestazioni delle medesime. Basta non incappare in errori epistemologici.

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Un pensiero su “IMMANENZA E TRASCENDENZA IN HUSSERL.

  1. Sant’Agostino d’Ippona: il tempo è solo in noi. Il passato è ricordo e il futuro è attesa.Sono sensibili perché nei ricordi del passato, nel sogno e nell’attesa dle futuro (ad occhi aperti) vediamo colori e luci, snetiamo suoni, qualcuno nel sogno o da sveglio ha anche percezioni tattili e olfattivi. Sono come i sensi del corpo ma distinguiamo che non vengono da essoe da fuori di noi.

    Il corpo è nostro, ma non è noi. Ciò che chiamiamo io ha ricordi e attese, vivi e veri, che coi cinque sensi nin si colgono. E fino aprova contraria sfuggono alla scienza che non ha ancora inventato uno strumento che possa misurare e prevedere i nostri ricordi e attese a partire da un’analisi del DNA cellulare, del sangue e dei tessuti.

    Abbiamo un corpo secondo, un corpo dentro il nostro, con cinque sensi. Possiamo dire che è un continuo, che è un’estensione del corpo, oppure che è altra sistanza, e lo chiamiamo anima.

    Ma nelle religioni vediamo di più. Profezie e giudizio.entrambe sono sensiibili:il futuro viene colto coi sensi dei profeti che raccontano di parlare ad angeli e di vedere ciò che accadrà come se lo avessero davanti ai propri occhi.

    Quindi cinque sensi del giudizio e cinque sensi della profezia.

    La profezia è il futuro, ma prima di tutto è l’attesa di un io come me, la volontà di un Dio creatore e onnipotente, che in quanto tale certamente si realizzerà. In modo simmetrico, il giudizio è il ricordo del passato, di un io come me.

    Ma questo giudizio e profezia sono immutabili e infallibili, oltre a non avere limite di conoscenza. Posso dire che profezia e giudizio sono una seconda estensione e continuità del ricordo passato e dell’attesa furuta che sono in ogni io, oppure che sono una seconda folta qualcosa d’altro che chiamo spirito.

    La loro immutabilità e infallibilità,semore presenti e non accidentali, fanno pensare a un’altra cosa, sostanza, simile a me perché la profezia è fatta di cinque sensi anche se narrata a parole, e parimenti il giudizio, ma anche diversa da me perché immutabile, infallibile, illimitata.

    La continuità presume la causalità. Se il ricordo e l’attesa, in quanto sempre fatti di uno fino a cinque sensi, sono un continuo e un’estensiond dei sensi del corpo non è possibile a priori negare che eiste un punto di contatto e una determinazione causale. L’io è in altre parole libero e padrone del suo corpo soltanto se questo ricordo e attesa appartengono a una sostanza che è altra dal corpo, anche se lo contiene, e che chiamo anima.

    Simmetricamente la profezia attesa del futuro e il giudizio ricordato del passato per essere oggettivi, cioè intersoggettivi, egualmenti veri per i sensi di tutti gli uomini, devono essere altro dal nostro ricordo e dalle nostre attese. Se c’è continuità-estensione, c’è causalità e a questo punto è difficile che le attese e i ricordi diversi di ognuno possano causare la profezia di un futuro comune e il giudizio di un passato comune.
    N cause di ricordo diverse e n cause di attesa futura diversa non sono in grado di causare un effetto futuro o un effetto passato unico per tutti.

    Questa secomda sostanza è spirito, ma il giudizio è fatto di cinque sensi come la profezia.e lo spirito è o assorbe corpo e anima.

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