DALL’EGO ALL’ALTER EGO.


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Nell’ambiente circostante, ciascun io percepisce sempre la presenza ed esistenza degli alter ego. Ognuno di noi contrappone il proprio corpo vivo al corpo vivo di questi “estranei”. Ciascuno di essi è il frutto dei rinvenimenti di altrettanti (estranei) “io”. Questo significa che ciascun io sia, inevitabilmente, portato a concepire i corpi vivi, che percepisce dinanzi a sé (e non solo), come corpi vivi portatori di soggetti egologici (estranei). Ma dobbiamo subito fare una precisazione. Ed introdurre un altro concetto portante della fenomenologia di Husserl: il concetto di “empatia”.

Gli alter ego, infatti, non vengono colti come “estranei” nel modo in cui ognuno di noi “vede” sé stesso o “trova” sé stesso, cioè nella propria esperienza percettiva. Sono, al contrario, individuati ed interpretati in modo empatico: quel corpo vivo estraneo è da noi rinvenuto ma non “dato” né, tanto meno, “posseduto” come fosse il proprio. Inoltre – ed iniziamo, adesso, ad addentrarci nel campo dell’intersoggettività husserliana – ciascun ego percepisce sé stesso come il punto fermo e centrale – il “punto zero” – attorno al quale ruota l’ambiente circostante. Si tratta dell’ambiente spazio-temporale rivolto a ciascun singolo corpo vivo, ma che, in realtà, altro non è che l’ambiente complessivo di tutti gli ego.

Dato che ciascun io percepisce sé stesso come il punto zero attorno al quale ruota tutto l’ambiente sensibile, allora:

  • ogni io interpreta questo suo “essere il punto centrale” in un’ottica sempre prospettica, perché è consapevole di come la sua percezione del Mondo sensibile sia influenzata dalle dinamiche spaziali (destra/sinistra, sopra/sotto, ecc.) e temporali (ora/dopo, oggi/domani, ecc.) che strutturano l’ambiente medesimo;
  • di conseguenza, pur percependo lo stesso oggetto, la percezione dei vari ego non sarà mai la stessa, data la differenza prospettica assunta durante la fase percettiva.

Ma queste due tesi sono oggetto poi di una confutazione del tutto idealistica da parte del filosofo austriaco. Husserl, infatti, dà forma al concetto di “normalità”, tramite il quale pone le basi per un’intersoggettività permeata dall’idealismo. Tale precetto filosofico sostiene che qualora un corpo vivo dovesse scambiare la propria posizione percettiva con quella di un altro corpo vivo, allora “le manifestazioni che gli ego hanno delle cose di cui fanno esperienza” si modificherebbero conseguentemente. Il tutto nel rispetto e nell’osservanza di una premessa (per l’appunto) idealistica, stando alla quale suddette manifestazioni verrebbero tra di loro conformemente scambiate attraverso lo scambio dei punti di vista di cui sopra. In breve: qualora due ego scambiassero i luoghi occupati nel momento percettivo, e qualora entrambi i loro corpi vivi si trovassero in uno stato (ovviamente) ideale, allora nella coscienza percettiva dell’uno si andrebbero a posare tutte le manifestazioni esperite nella coscienza dell’altro, e viceversa. Cosa implica tutto questo? Significa, in poche parole, che ciascun io potrebbe godere delle stesse manifestazioni di qualsiasi altro io, a patto che guardi quell’oggetto sensibile nella stessa posizione e nelle stesse condizioni assunte dall’alter ego. In termini idealistici, la “normalità percettiva” implicherebbe e presumerebbe, nello stesso identico spazio e tempo, un’assoluta convergenza di vedute. Una tematica che, guarda caso, sarà poi (nuovamente) idealizzata, in sociologia, da Schütz.

Per il momento, consideriamo questa come la dinamica iniziale che potrebbe consentire, secondo Husserl, la nascita e lo sviluppo dei rapporti interrelazionali – e si tenga presente, anche nella seguente citazione, che il termine “manifestazione” si rivolge (anche) ai contenuti della mera percezione (idee, opinioni, enunciazioni, stati, ecc.) e non solo al modo in cui l’oggetto sensibile si apre ai percipienti e/o al modo in cui direttamente (empirismo) viene percepito da essi stessi -:

E ognuno di noi avrebbe avuto sempre le stesse manifestazioni se avesse guardato dalla stessa posizione dell’altro e se, inoltre, non soltanto tutte le relazioni spaziali della posizione degli occhi fossero le stesse, ma anche gli occhi e il corpo vivo e nel suo complesso fossero nella stessa condizione normale. […] Ognuno fa le sue esperienze in relazione alle cose che gli si manifestano ora in questo modo ora in quello, giudica sulla base di queste esperienze e scambia questi giudizi con gli altri all’interno di una reciproca comprensione. Se non ha motivo di riflettere sulle manifestazioni, se, nel suo esperire è rivolto verso l’oggetto in maniera diretta, allora egli non giudica sulle manifestazioni ma sulle cose.

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