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Sappiamo che, in termini di esperienza, l’uomo è “partecipe del pensiero e dell’estensione” – solo e soltanto di questi due attributi – e che il contenuto del pensiero è limitato (per l’appunto) ai modi del pensiero e dell’estensione. Il modo che costituisce l’uomo è la finitezza. L’essere umano, infatti, è un modo finito e, per questo motivo, è ben altra cosa rispetto alla sostanza infinita – sostanza verso la quale, in ogni caso, inerisce -. Spinoza sostiene come tutti gli enti finiti siano in Dio e come la loro stessa concezione e/o esistenza sarebbe del tutto impossibile senza l’infinità dell’Altissimo. Ma attenzione! Il fatto che gli enti finiti appartengano necessariamente a Dio e che la loro esistenza si paleserebbe come nulla in caso contrario, non implica che tra Dio e gli enti finiti stessi non vi sia una differenza ontologica ed esistenziale! A tal riguardo, prendiamo proprio in considerazione le parole del filosofo. Secondo Spinoza, all’essenza di un qualcosa appartiene «ciò senza cui la cosa e, viceversa, ciò che, senza la cosa, non può né essere, né essere concepito.» Facciamo un esempio.
Se consideriamo l’essere umano un animale razionale, allora non può esistere razionalità che non conduca all’idea di umanità, esattamente come non può venire concepito il concetto di umanità privo di un tale attributo. Ma, se il rapporto coinvolge enti finiti – come l’uomo, per l’appunto – e Dio, allora tutto cambia: da una parte, è senz’altro giusto affermare come l’ente finito non possa essere né venire concepito senza Dio, ma, dall’altra parte, Dio non appartiene all’essenza degli enti finiti, il che significa che è e viene inteso anche senza i medesimi. Dobbiamo però nuovamente fare attenzione.
Abbiamo visto, infatti, che l’essenza di Dio è infinita e che da essa seguono, necessariamente, infinite cose in infiniti modi, il che permette alla potenza di Dio di identificarsi con la sua stessa essenza. Possiamo, quindi, concepire Dio, alienandolo dalle conseguenze – gli enti finiti – della sua sopracitata potenza? In realtà, Spinoza adatta la definizione di Dio a quella di “effetto” della volontà divina. Dio non sarebbe tale se non fosse la causa di tutte le cose che seguono dalla sua natura, ma quelle stesse cose non sono ciò che lo rendono una sostanza infinita o che ne legittimano l’esistenza; al contrario, sono gli effetti del suo agire e, per questo, non rientrano nella definizione di sé medesimo. Quindi: i modi finiti necessitano di Dio per esistere, ma l’esistenza di Dio non dipende da loro, bensì dall’infinità dell’essenza divina. L’intento spinoziano, dunque, è quello di tenere distinta la natura delle cose finite dalla natura di Dio, nonostante le cose finite siano in Dio e siano modi del suo essere l’unica sostanza infinita esistente.
A Dio appartengono i due attributi infiniti del pensiero e dell’estensione – ovvero gli stessi rientrano nella definizione di sé medesimo in quanto legati indissolubilmente alla sua essenza infinita -. Grazie all’attributo del pensiero, Dio ha piena conoscenza di sé stesso, di tutte le cose che seguono dalla sua natura e di tutto ciò che costituisce il contenuto del suo intelletto infinito – «In Dio si dà necessariamente l’idea tanto della sua essenza quando di tutte le cose che seguono necessariamente dalla sua essenza.» -. Si tratta di un passaggio particolarmente complesso. A differenza di molte teologie, infatti, la creazione del Mondo, secondo Spinoza, non è libera. Si parla di “negazione della libertà di scelta in Dio”: mentre in molte dottrine si riconosce in Dio l’idea di sé stesso e di tutte le cose che può produrre – nel senso che ciò che Dio conosce è una conseguenza della sua stessa natura – e che la creazione del Mondo, ottenuta utilizzando proprio quelle idee come un modello ideale, sia del tutto libera, in Spinoza, al contrario, alle idee delle cose corrispondono, inevitabilmente, le cose nella realtà, nel senso che l’ambito delle idee divine non è assolutamente più esteso – in termini tanto di libertà quanto di discrezionalità – di quello delle cose esistenti. E questo perché i corpi seguono dalla natura di Dio con la stessa necessità con la quale da quella stessa natura seguono le idee dei corpi, palesando così una reciprocità assoluta. Inoltre le idee (in Dio) delle cose non sono causate dalla cose stesse, esattamente come le cose medesime non sono causate dalle idee che Dio possiede di esse. Tra idee e cose, dunque, vige una corrispondenza stretta, priva di qualsivoglia forma di legalità causale.
Non deve sorprendere la mancanza di una causalità tra pensiero – le idee – ed estensione – le cose -, all’interno dell’argomentazione spinoziana. Se, infatti, riprendiamo l’assioma di causalità – “non può esservi causalità a meno che si dia qualcosa in comune” – appare alquanto intuitivo il ragionamento di Spinoza. Pensiero ed estensione sono, infatti, corrispondenti non perché legati da un rapporto di causalità ma, bensì, perché semplicemente esprimono la stessa essenza: sono da sempre uniti, legati l’uno all’altro, e traducono in due linguaggi diversi – in quanto sono due attributi infiniti dell’infinita essenza di Dio – lo stesso identico messaggio – la definizione di Dio -. Quindi si corrispondono perfettamente senza che vi sia la necessità che l’uno sia causa dell’altro o viceversa. Ecco perché «l’ordine e la connessione delle idee è lo stesso che l’ordine e la connessione delle cose». Ma vi è di più. Non si tratta, infatti, solo di una mera corrispondenza. Spinoza pone proprio il concetto di “identicità” a fondamento del legame tra pensiero ed estensione; questi due attributi infiniti dell’infinita essenza di Dio sono «una e identica sostanza che è compresa ora sotto questo ora sotto quell’attributo». Quindi mente e corpo – ovvero, pensiero ed estensione – si corrispondono perché (semplicemente) identici, nel senso cioè che costituiscono, per davvero, la stessa essenza. Il dualismo (cartesiano) è risolto sotto un duplice aspetto: non solo non esiste causalità tra pensiero ed estensione ma non è possibile nemmeno ipotizzare una “conflittualità causale” tanto nelle cause quanto negli effetti, nel senso che l’ordine delle idee e l’ordine delle cose non possono venire sovrapposti in alcun modo: le cose materiali hanno una spiegazione esclusivamente fisica, mentre quelle mentali una di tipo psichica.
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