LOGICA EDITORIALE CERCASI…


Cercasi disperatamente una logica di fondo nell’imperscrutabile Mondo dell’editoria italica! Perché non ve ne è. O almeno il sottoscritto fatica moltissimo a scorgerla chiaramente, in tutta quanta la sua luminosa iridescenza.

Una delle ennesime derive democratiche, che sta caratterizzando il profondo e tetro Medioevo culturale dei nostri tempi, verte sul fatto che tutti, oggigiorno, si dichiarino essere scrittori – ebbene no! -. E sul fatto che tutti possano e/o debbano sentirsi in diritto di poter scrivere – ebbene no! -. Così, oggi, pagando una casa editrice, l’opera letteraria in questione, frutto della personalissima mente del ben lieto autore provetto, può trovare un proprio posto ed una propria collocazione nella sconfinata fila di romanzi, saggi, raccolte di aforismi, trattati (e via discorrendo) presenti nelle librerie di tutta Italia.

Il prezzo in soldoni che viene richiesto all’apprendista scrittore, affinché la propria proprietà intellettuale ottenga un riconoscimento concreto – di modo anche da concedergli una remunerazione che, in media, si attesta su circa il 15% per ogni 16/17,00 € di vendita (non dovrebbero essere nemmeno 3,00 eurI, sempre che il more mathematico non m’inganni) -, serve a coprire i costi di stampa e di acquisizione della pubblicità. Molto bene.

I costi di stampa coprono la correzione delle bozze. Ebbene chi necessita di assistenza per il controllo sintattico e grammaticale del proprio elaborato, eviti di scrivere – almeno per un primo momento della propria umana esistenza (si rimembri semper l’uso del congiuntivo, per Odino! Il congiuntivo!) -. La casa editrice cura l’impaginazione dell’elaborato presentatole. Come sopra: l’apprendimento delle norme editoriali e la cura dell’impaginazione deve essere elemento ontologicamente costituente il presunto scrittore. La pubblicità, per Prometeo!!! Beh, questo è un punto indubbiamente vero. Ma non per questo esente del tutto da una potenziale illogicità di fondo. Del resto: “se io ho pagato A affinché pubblichi il mio B, chi mi assicura che vi sarà da parte di A l’assoluto intento a pubblicizzare B?”. È un ragionamento molto ingiusto, in effetti. Ma non posso non dubitare del fatto che molto di ciò che viene pubblicato sia puro letame e che, di conseguenza, non vi sia un apriorico desiderio di pubblicizzarlo con tutte le proprie forze. Proprio perché da parte della stessa casa editrice vi è l’assoluta convinzione della non “elevatezza” del lavoro redatto dall’autore. Mi domando: “ma le porcate di molti youtubers… sì ecco, quelle porcate, che dopo un paio di giorni dalla prima run di stampa finiscono a 3,00€ in libreria – con l’assoluta disperazione del libraio di turno! Povero Cristo che non riesce nemmeno a piazzarne una copia ai non vedenti! -, dovevano essere pubblicate per forza?”. Beh no. “Ma mi ha pagato per farlo”, tuona la casa editrice! “Ma io ho il diritto di scrivere”, esclama, in preda ad un orgasmo mancato, il writer della domenica!

Omnibus omnia fit, un ragionamento povero e qualunquista potrebbe anche portarmi a ritenere che la spesa di pubblicazione serva (molto spesso) a colmare il rischio che intercorre tra casa editrice e libreria. Ed è dannatamente curioso – e gratificante come uno scaldabagno rotto che versa brodo di pollo – prendere consapevolezza di come l’Italia sia tra i primi paesi europei, per quanto concerne la pubblicazione di testi ed opere varie, e, al contempo, tra gli ultimi, per quanto riguarda, invece, la “lettura pro-capite” – meravigliosa la pubblicità, che attualmente gira in televisione, intitolata IO LEGGO; epica come la scelta dei suoi stessi testimoni, in effetti -.

Succede alcune volte – di rado, molto ma molto di rado – che alcuni illustri scrittori e/o saggisti vengano direttamente contattati da case editrici per l’assegnazione di una vera e propria mansione lavorativa. Il paradigma è spesso il seguente: “Caro A abbiamo bisogno che tu ci scriva un bel saggio su B; quando lo hai finito, te lo pubblichiamo agggratissse!”. Ma come? Vuoi da me un prodotto e devo pure lavorare gratis? La logica di Pippo.

La soluzione? Non c’è. O meglio, ne esiste una, ma è sbagliata – come il 99,99% delle cose in questo strano Paese -. Il self-publishing. Che può essere utile, per carità. Del resto, permette di evitare di dover sopportare ingenti spese e di poter godere di un minimo di gratificazione personale. Ma, di certo, non aiuta il panorama culturale. Innanzitutto, l’autogestione non è sinonimo di responsabilità. È possibile pagare servizi per la correzione delle bozze, dell’impaginazione, ecc., senza che niente giudichi la qualità o meno dell’elaborato. Inoltre ha, letteralmente, “ingolfato” la stessa produzione online. Fate un salto su Amazon. Ci sono perle. Difficili da scorgere. Che potrebbero anche correre il rischio di venire oscurate per sempre. Perché circondate da tanto letame. Da così tanto di quel letame, che si potrebbe promuovere una rotazione  ad eternum delle semine nei campi.

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