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Recitare una parte e, quindi, produrre, inscenare ed imprimere negli alter ego una ben precisa rappresentazione, da un lato, obbliga l’interlocutore afficiente a curare ogni singolo aspetto di quanto vada esternando e rappresentando, di modo da potersi sentire sicuro che suddetta manifestazione venga recepita e compresa dagli altri soggetti, e, dall’altro lato, veicola l’interlocutore affetto – o gli interlocutori affetti, questo dipende dal numero di soggetti coinvolti nella interazione – ad assumere le vesti di meri ricevitori di quanto esteriorizzato. Si tratta, dunque, di evidenziare il grado di simmetria tra ciò che il soggetto A desidera manifestare – sotto forma di rappresentazione – ed il modo in cui il soggetto B finisce con il giudicare ed interpretare quanto impressogli durante il rapporto dialogico. Da una parte, quindi, A dovrà adoperarsi perché la rappresentazione manifestata sia effettivamente quella che si è preposto di divulgare; dal canto suo, B valuterà se quanto recepito sia o meno veritiero e/o attinente al reale. Si viene, quindi, ad instaurare un meraviglioso gioco di ruoli. Particolarmente complesso, in effetti.
I due estremi che possiamo subito cogliere evidenziano il più elevato grado di simmetria e di asimmetria tra quanto interiorizzato ed espresso, mantenendo però sempre come costante il punto di vista di A. Da una parte, è possibile che l’interlocutore sia assolutamente convinto che quanto manifestato rappresenti il suo vero io o la sua vera routine o, per essere molto più generici, “ciò che effettivamente è in termini reali”. Dall’altra parte, però, è anche possibile che l’oggetto della rappresentazione sia mistificante nei riguardi dell’identità del soggetto; si ricordi che tale deviazione può venire prodotta volontariamente dallo stesso A o in un modo del tutto involontario o inconsapevole. Esattamente come può trattarsi di una asimmetria parziale e/o totale. In entrambi i casi, l’interlocutore afficiente – più di quello affetto, secondo Goffman – risulta sempre essere il più facilitato a cogliere tale non perfetta corrispondenza “tra chi è” e “di chi dia rappresentazione” sia nel caso di simmetria che di asimmetria (parziale o totale). Possiamo considerare A un soggetto “sincero” qualora dia vita ad una rappresentazione del suo sé veritiera e, al contrario, “cinico” nel caso in cui si comportasse in maniera contraria. Ma, in ogni caso, la questione non può ridursi ad una semplice classificazione di tipo dualistico. È opportuno rendersi conto che anche una veritiera rappresentazione potrebbe essere posta in essere involontariamente, così come potrebbe palesarsi parziale e/o totale. Inoltre, dobbiamo sempre vertere l’attenzione sull’interlocutore affetto: B può credere o non credere ad una particolare rappresentazione, senza contare che le variabili che lo porteranno a definirne la veridicità o falsità restano molteplici. Infine, l’essere sincero o cinico non significa, solo e soltanto, “essere onesti” o “ingannare l’alter ego per il perseguimento di uno specifico intento”. Tutto risulta essere molto complesso, dunque. E profondamente articolato. Ad esempio, in tema di commistione tra sincerità e cinismo, Goffman parla di “auto-illusione” che consiste nel tentativo, da parte dell’interlocutore afficiente, di veicolare l’attenzione del pubblico di modo da ricevere dallo stesso un particolare tipo di giudizio di cui, però, lo stesso A fatica a considerarsi meritevole.
Definiamo adesso il termine “facciata” all’interno delle riflessioni formulate da Goffman. Esso indica «l’equipaggiamento espressivo di tipo standardizzato che l’individuo impiega intenzionalmente o involontariamente durante la propria rappresentazione.» Praticamente, si tratta di quella parte dell’intera rappresentazione che «funziona in maniera fissa e generalizzata», ovvero l’insieme degli elementi che definiscono un preciso quadro di riferimento entro cui prende vita l’interazione dialogica. Possiamo considerare la “facciata” alla stregua di un vero e proprio “contesto espressivo di riferimento”. Una delle sue principali componenti è chiamata “ambientazione”.
Essa si palesa essere, per lo più, fissa e stabile. Questo significa che non è l’ambientazione a “seguire” gli “attori” quanto, piuttosto, la necessità che gli stessi si trovino all’interno della “scena” per avviare, sviluppare e concludere la propria argomentazione. Essa, infatti, dipende, tanto in tema di legittimazione quanto di credibilità, (anche) da tutti gli elementi “scenografici” che danno forma al contesto entro cui prende vita il rapporto dialogico. Vi possono essere elementi dell’ambientazione fissi ma non statici, in quanto elementi caratterizzanti e/o costituenti l’essenza di un preciso interlocutore. In questo caso, ove si muove il soggetto in questione, seguono a ruota tali paradigmi, i quali, quindi, indipendentemente dal luogo, determinano sempre la cosiddetta «facciata personale» dell’attore – si pensi, ad esempio, all’etnia o ad un particolare status sociale -. Caratteristiche come le espressioni facciali, invece, possono essere sicuramente mobili ma, al contempo, anche transitorie: il nostro soggetto A potrebbe mantenere la stessa “postura comunicativa” in più luoghi e nei riguardi di più alter ego, ma è indubbio il fatto che la stessa, prima o poi, finirà con il venire sostituita o rinnovata o delegittimata, e via discorrendo. A tal riguardo, Goffman propone anche una classificazione in seno al concetto di «facciata personale»:
- “apparenza”: è l’insieme degli stimoli trasmessi e poi recepiti dagli altri interlocutori e tali da far comprendere a quest’ultimi come il soggetto in questione si stia adoperando in siffatta maniera per motivi e/o interessi temporanei;
- “maniera”: è l’insieme degli stimoli trasmessi e poi recepiti dagli altri interlocutori e tali da far comprendere a quest’ultimi il tipo di ruolo e di comunicazione che il soggetto in questione intende assumere per avviare e/o caratterizzare l’interazione stessa.
Anche la “astrattezza” e la “generalità” sono elementi in grado di caratterizzare la – già citata più volte – «facciata personale». Può capitare, infatti, che il nostro soggetto A finisca con il venire stereotipato dagli interlocutori affetti, i quali, per l’appunto, ascrivono i comportamenti assunti dal suddetto ad uno “schema attitudinale” generalmente inteso e concepito. In tal modo, gli altri individui possono ovviare e/o obliterare una interpretazione “più specifica e analitica” dell’interlocutore afficiente. Prendiamo, ad esempio, in considerazione il presentarsi bene e l’essere ben vestiti: una impressione di questo tipo, infatti, può essere ascritta a più soggetti occupanti diverse posizioni sociali e/o svolgenti differenti mansione lavorative – dal banchiere al rappresentante, dal manager al docente universitario, et similia -. Diverse routines (comportamentali) possono, quindi, usufruire e sfruttare la stessa facciata. Ma attenzione! Le facciate restano pur sempre oggettivate, anzi, direi pure, “istituzionalizzate”. Questo significa che vige una profonda reciprocità tra la stessa e l’individuo. Facciamo un esempio molto semplice. Quando un uomo viene assunto a lavorare in banca, la facciata di cui sopra – presentarsi bene e l’essere ben vestiti – è già esistente in quella “cornice” lavorativa ed obbliga l’individuo, a cui viene ascritta, ad adeguarsi di conseguenza. Si tenga anche bene a mente che l’esistenza di più facciate, a seguito di quanto sostenuto (anche) in tema di “ambientazione”, fa sì che ogni individuo, nei passaggi da un frame ad un altro, goda di una ampia libertà di scelta. Ma “scelta” di un qualcosa che si presenta come già istituzionalizzato a priori. Inoltre, ambientazione, facciata, maniera, routine, ecc., possono anche dare vita a particolari commistioni che, a seconda del dove si sviluppa l’interazione, ci permettono di cogliere interessanti sfumature. Ad esempio, un avvocato “sfrutta” il proprio studio ed il suo “saper parlare da uomo di legge”, quando ha a che fare con un cliente… ma i vestiti che indossa, durante quella conversazione, possono tranquillamente essere gli stessi anche per una cena in compagnia di sua moglie.
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