SCHÜTZ E LO STILE COGNITIVO.


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Secondo Schütz tutte le «province finite di significato» sono costituite da un ben preciso «stile cognitivo», che assicura la coesistenza e la necessaria compatibilità tra tutte le esperienze che formano quella realtà – perché, come abbiamo visto nel precedente articolo, per l’appunto, nell’approccio fenomenologico, affinché quella realtà di riferimento si mantenga come vera, è necessario che le esperienze che la costituiscano non vengano smentite da altre esperienze -. Fondandosi su specifiche e definite esperienze, lo stile cognitivo fa sì che quella provincia di significato sia, di conseguenza, “finita”; non è possibile trasferire tale cognizione da una provincia ad un’altra senza impedire che tale trasferimento finisca col pregiudicarla.

Nell’analisi svolta sulla vita quotidiana, il sociologo austriaco individua sei aspetti fondamentali dello stile cognitivo caratterizzante quella porzione di realtà – ovvero, la quotidianità -. Premetto che, all’interno di questo articolo, ne tratterò le prime cinque – rinviando l’approfondimento dell’ultima al prossimo post -. Inoltre, come spesso ho già avuto modo di sottolineare, considerate sempre i limiti spaziali che il blog m’impone ed a causa dei quali non ho modo (molto spesso) di dilungarmi in una trattazione esaustivamente analitica.

  1. Lo “stato di veglia” o, per usare i termini propri di Schütz, «specifica tensione di coscienza». Stando alle riflessioni del sociologo, la vita quotidiana si va costituendo di numerosi e distinti piani, i cui estremi sono il “piano dell’azione” – il working – e quello del sogno. Ognuno di questi livelli gode di un grado diverso di tensione e di attenzione (partecipativa) alla vita, a seconda proprio di quanto interessati o coinvolti possiamo noi essere  nei riguardi di quell’aspetto della nostra quotidianità. L’azione, ad esempio, implica un grado di tensione e di attenzione alla mera esistenza superiore rispetto al sogno. Quindi, lo “stato di veglia” sta ad indicare come massima debba essere la nostra attenzione alla vita (lavorativa) per il perseguimento dei propri interessi e fini. La vita quotidiana necessita sempre del massimo grado di “tensione della coscienza”, ovvero l’individuo deve sempre trovarsi nel più totale “stato di veglia”. La quotidianità si identifica, quindi, con l’azione. Sempre. Perché è ciò che facciamo, abbiamo fatto o faremo nel futuro che determina l’essenza ontologica della realtà che viviamo.
  2. La “sospensione del dubbio”: Schütz afferma che l’oggettività della vita quotidiana finisca con l’annichilire il dubbio. Attenzione: non significa che l’uomo lato sensu non provi dubbi o timori o paure durante la vita. Il fatto è che tali perplessità, di qualunque natura esse siano, si origineranno e svilupperanno sempre all’interno di una “cornice di certezza oggettiva”: la quotidianità, per l’appunto. Il sociologo affianca al dubbio il concetto di «rilevanza»: l’azione di ciascun individuo è perennemente inficiata da dubbi o timori, capaci (anche) di veicolarla o indirizzarla.
  3. Il “working“: il mero “lavorare” è l’elemento più emblematico di tutta la quotidianità. Si costituisce di un totale “stato di veglia” e di una temporalità definita, che ne scandisce ritmi ed obiettivi. Questo concetto di “fare” merita, ad ogni modo, un’approfondimento analitico. Il working rientra tra quelle esperienze che, secondo Schütz, sono dotate di senso soggettivo – molte altre ne sono prive, come ad esempio l’arrossire o la contrazione delle pupille, et similia -. Queste esperienze vengono catalogate sotto la dicitura «condotta». La condotta per il sociologo austriaco può essere “manifesta” – mero fare – o “latente” – mero pensare -. Il working per Schütz è l’esecuzione di un progetto architettato e/o progettato in precedenza: si tratta quindi di un’esperienza la cui “condotta” dà origine ad un’azione manifesta.
  4. La “percezione del proprio sé” o «ego working» – così lo definisce lo stesso Schütz -. Come afferma il sociologo: «modo presenti e di sé stesso come dell’autore dell’attività in corso realizza sé stesso come unità.»
  5. Il “tempo intersoggettivo” o «vivido presente». Schütz sostiene come esso altro non sia che l’intersezione tra il “tempo interiore” – il durée – ed il “tempo cosmico spazializzato”. Qui la fenomenologia di Schütz attinge a quella dei filosofi BergsonHusserl: il movimento strincto sensu compiuto dal nostro corpo determina e costituisce la realtà esterna – e la percezione che abbiamo di essa – e, con essa, la sua stessa struttura temporale. Il nostro corpo, difatti, è il nostro “qui”, ovvero il “punto zero”, la partenza dalla quale iniziamo ad orientarci nello spazio circostante. Ciò significa che tutta la realtà acquisisce significato a partire da me e, al contempo, attraverso me. I movimenti del corpo possono essere classificati sotto due punti di vista. In primiscome semplici movimenti quantificabili nello spazio e nel tempo, e paragonabili ad altri eventi ad essi simili e/o riconducibili. In secundis, come “opportunità” tramite le quali sperimentare e/o fare esperienze sensibili, e quindi riconducibili alla nostra coscienza – il durée -. Nella dimensione della nostra temporalità interiore le nostre esperienze presenti si legano a quelle passate e ci permettono di riflettere su quelle future – probabili e/o ipotetiche che siano -. Il vivido presente nasce proprio dall’intersezione di questi due punti di vista: nel momento del working viviamo continuamente esperienze che sono temporalmente sia esterne che interne, e che ci consentono di percepire l’attimo presente – il vivido presente, per l’appunto –.

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