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Goffman fornisce una ben precisa definizione di “équipe“. Essa è da intendersi come un complesso di individui che collaborano assieme per la realizzazione e messa in opera di una singola routine. Innanzitutto, quindi, il concetto di équipe permette di per sé l’ascrizione di una rappresentazione a più soggetti, obbligandoci, di conseguenza, ad interpretare il tutto attraverso una chiave di lettura (inevitabilmente) di tipo sovra-individuale. Ma si tratta di una definizione che può essere ulteriormente chiarita e approfondita: essa, infatti, può essere colta alla stregua di una interazione o di una fitta rete di interazioni, attraverso le quali si cerca di mantenere salda e veritiera la definizione appropriata della situazione (rappresentata).
Goffman è convinto di come, in talune circostanze, possa essere possibile che l’attore si auto-suggestioni, convincendosi che la rappresentazione posta in essere sia l’unica ed incontrovertibile realtà esistente. Così facendo, si finisce con l’avere una vera e propria convergenza tra attore e pubblico, dove il primo contempla il suo stesso agire. In sintesi: l’auto-suggestione di cui è vittima fa sì che egli incorpori degli standard ritenuti “meritevoli” dagli altri, indirizzando il proprio agire e la propria coscienza (e consapevolezza) al rispetto dei medesimi. A questa specie di auto-suggestione segue anche un ipotetico e potenziale auto-inganno, in quanto l’attore/spettatore può essere portato a nascondere a sé stesso e agli altri quei lati della rappresentazione che egli stesso non ha avuto il coraggio di affermare a sé medesimo. Si può parlare di “allontanamento” o di “dissociazione” dal proprio io. L’auto-suggestione e l’auto-inganno fanno sì che anche in assenza di pubblico, l’attore, divenuto spettatore di sé stesso, continui privatamente a rispettare precetti condivisi dagli alter ego, poiché certo della presenza di un pubblico che, invero, non esiste. L’accettazione di idee non condivise privatamente e la creazione di un pubblico immaginario/inesistente sono elementi convergenti, in queste situazioni. Pensiamo, ad esempio, ad un soggetto che non condivide la dieta vegana ma che la fa propria anche entro le mura domestiche perché teme di venire scoperto dal gruppo sociale di appartenenza o perché suggestionato al rispetto della stessa.
Per una équipe risulta essere necessario che vengano soddisfatte alcune caratteristiche fondamentali. Innanzitutto, è importante che ciascun membro della équipe si fidi in toto dell’agire del/i proprio/i compagno/i, onde non creare asimmetrie o imperfezioni nella rappresentazione stessa. Questo implica anche il fatto che tanto la familiarità quanto una sana e reciproca complicità giochino un ruolo fondamentale: del resto, i membri che formano l’équipe sono a conoscenza di cosa vanno rappresentando e, quindi, sanno di essere “a conoscenza del segreto” e di come debbano guardarsi gli uni negli occhi dell’altro per definirsi e comprendersi. Potremmo considerarla una specie di “complicità drammaturgica” in cui la difesa di quanto collettivamente rappresentato è il fulcro vitale della cooperazione.
Quando una équipe è costituita da un solo individuo, si tratta di ribadire quanto sostenuto fin’ora in termini di rappresentazione. Qualora, invece, la stessa vada costituendosi di due o più soggetti, alcuni concetti come quelli di “lealtà”, “condivisione”, “protezione e riconoscimento della linea adottata” et similia, divengono fondamentali e ricoprono un ruolo molto importante in seno proprio alla legittimazione e giustificazione tanto dell’aggregato quanto della rappresentazione. Questo anche perché screditare la realtà che l’équipe cerca di affermare come vera ed apodittica o incorrere nelle critiche del pubblico sono situazioni di facile attuazione, qualora non vi sia coesione di intenti e di atteggiamenti tra i membri della stessa. Qui Goffman offre una interessante chiave di lettura di tipo psicologico: quando un membro della équipe commette un errore tale da viziare e/o minare la “linea collettiva”, generalmente l’invito è quello di far sì che il rimprovero e la (eventuale) punizione avvengano “a porte chiuse”, di modo da non destare troppo l’attenzione del pubblico e non renderlo partecipe di tutto quanto.
Vi è poi sempre la figura della star all’interno di una équipe, anche qualora la rappresentazione messa in mostra dovesse assumere le vesti di una vera e propria routine. Pensiamo, ad esempio, ad un corpo di ballo i cui membri, al termine della esecuzione, si mettono in cerchio e si inginocchiano dinanzi al primo o alla prima ballerina. Il concetto di équipe, dunque, è in stretto contatto anche con quello di routine e di leadership: a seconda del diverso grado di leadership ascritto ai membri di una équipe, la routine della stessa differisce da quella di un’altra. Goffman parla di “leadership espressiva” e di “leadership di regia”. Esse, spesso, convergono ma possono anche non essere ascritte al medesimo soggetto: ad esempio, durante una cerimonia funebre è indubbio come la prima sia da riscontrarsi nei parenti del defunto, ma resta altrettanto innegabile il fatto che l’intera rappresentazione sia mandata avanti dagli impresari.
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