L’ESISTENZIALISMO DI SCHOPENHAUER: PARTE SECONDA.


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La realtà descrittaci da Schopenhauer ricorda moltissimo quella hobbesiana, all’interno della quale homo homini lupus. La sofferenza, infatti, non è solo rappresentata dalla Vita in sé e per sé, ovvero dalla moltitudine di illusioni, di false promesse e di continue sofferenze camuffate da desideri, appagamenti e gratificazioni. L’uomo è causa del male. E non tanto del suo personale male, quanto del dolore che egli stesso arreca al suo prossimo. Ecco perché, criticando, ora, l’esaltazione dell’intelligenza – incapace di far fronte a tutte le sofferenze che frastagliano la vita di ogni singolo individuo -, ora, il ricorrere alla distanza stoica quale forma di alienazione dal dolore, Schopenhauer parla piuttosto di inevitabile necessità di uno Stato e di un sistema di leggi tale da veicolare e monitorare i comportamenti degli uomini:

Ma soprattutto ingiustizia, estrema iniquità durezza e anzi crudeltà caratterizzano di regola il modo di agire degli uomini tra loro; un modo di agire opposto si riscontra solo eccezionalmente. Su ciò si fonda la necessità dello Stato e della legislazione, e non sulle vostre fandonie. E infatti, in tutti i casi che non rientrano nell’ambito delle leggi, si vede subito la caratteristica mancanza di scrupolo dell’uomo per il suo simile, che scaturisce dal suo egoismo sconfinato e talvolta anche dalla cattiveria.

Vi è poi una chiave di lettura che in parte valorizza la morale simpatetica di Hume ed in parte la sconfessa de factoSchopenhauer, infatti, sostiene come un uomo felice sia sempre inebriato dalla volontà di rendere sereno il suo prossimo, quasi a voler rendere partecipe qualsivoglia alter ego del suo momento di assoluta e genuina gioia. Ciò però non si verifica reciprocamente: colui che osserva un individuo lieto, nutre ed alimenta dentro di sé invidia, bramosia e collera, tanto insaziabile è il suo desiderio di possesso e conquista. Manca quindi una “misericordiosa reciprocità” all’interno dei rapporti interrelazionali.

Il principio che regola l’esistenza del Mondo altro non è che pura Volontà cieca. Ossia una volontà che, in quanto cosa in sé e per sé, è esente da qualsivoglia congettura o tentativo di razionalizzazione. Il principio che regola la Vita, sostiene Schopenhauer, non è un qualcosa di “illuminato”. L’errore degli ottimisti è proprio questo. Vi fosse una qualche specie di illuminazione dietro all’intera progettualità dell’esistenza, uno sbilanciamento così evidente a favore delle sofferenze non avrebbe ragione d’esistere. Tutti i ragionamenti formulati, quindi, in relazione al comprendere il perché dell’esistenza del male nel Mondo – teodicea – sono privi di fondamento in quanto il Mondo stesso è alieno da qualsiasi principio di ragione. Ciò che conta è la Volontà (di vivere e della specie) che ha come unico fine sé e sé medesima soltanto:

Giacché l’esistenza umana, lungi dall’avere il carattere di un dono, ha in tutto e per tutto quello di un debito che si è contratto. L’esazione di esso si manifesta nella forma degli impellenti bisogni indotti da questa esistenza, dei desideri tormentosi e di una miseria senza fine. Per scontare questo debito si impiega, di regola, l’intera vita; ma con ciò non si cancellano che gli interessi. Il versamento del capitale avviene con la morte. E quando fu contratto questo debito? Al momento della generazione.

La Volontà, dunque, è nella Vita ed è nel far perdurare la stessa che manifesta la propria piena essenza. Ma nei riguardi della vita dei singoli che vanno costituendo la specie, essa è fredda, calcolatrice e dannatamente indifferente. Questa posizione – oserei dire – “leopardiana” pone Schopenhauer all’estremo opposto dell’ottimismo di Leibniz:

E a questo mondo, a questa arena di esseri tormentati e angustiati, che sopravvivono solo perché l’uno divora l’altro, dove perciò ogni animale da preda è la tomba vivente di migliaia di altri e la sua conservazione è una catena di martiri, dove poi con la conoscenza cresce la capacità di sentir dolore, che raggiunge perciò nell’uomo il suo grado più alto, e tanto più alto quanto più egli è intelligente – a questo mondo si è voluto adattare il sistema dell’ottimismo e si è voluto dimostrarcelo come il migliore dei mondi possibili.

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