GLI ENUNCIATI DICHIARATIVI ARISTOTELICI.


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Riprendiamo adesso lo studio del linguaggio all’interno del pensiero aristotelico. Nel De interpretationeAristotele sofferma subito la propria attenzione sui concetti di “suono” e di “parola”. Le espressioni linguistiche, agli occhi del filosofo, appaiono essere dei simboli, ovvero dei segni convenzionali, e sono delle vere e proprie «affezioni dell’anima». Da questo deriva il fatto che le stesse siano segni convenzionali anche degli oggetti, dato che le sopracitate affezioni sono le immagini dei medesimi. Il considerare le affezioni dell’anima al pari delle immagini degli oggetti non è da tradursi in una specie di rappresentazione mentale degli stessi ad opera del percipiente quanto, piuttosto, come dipendente dal fatto che quando l’intelletto pensa una particolarità, di essa stessa ne “riceve” – ecco che torna la passività sensoriale aristotelica – la forma – essenza della sostanza -. Ad Aristotele interessa più che altro “interconnettere” il piano mentale con quello più tecnicamente linguistico, di modo da evidenziare come il vero ed il falso risultino tali solo in riferimento alla sopracitata relazione:

Dunque i nomi e i verbi di per sé sono simili al pensiero senza composizione e divisione, per esempio “uomo” o “bianco”, quando non si aggiunga qualcosa: giacché non sono ancora né veri né falsi, ma sono segno di questa cosa.

In breve: “uomo” è una parola usata convenzionalmente per dialogare e nel momento in cui un individuo pensa questa particolarità, ecco che riceve l’immagine “uomo”. Ma per dichiararne la veridicità o falsità è necessario “legare” verbi e nomi, perché così com’è resta solo un’affezione dell’anima. Unire un nome ad un verbo genera un enunciato. L’enunciato “dichiarativo” è ciò che secondo Aristotele rende possibile la determinazione del vero e del falso; ma prima occorre approfondire il ruolo del nome e del verbo, all’interno della epistemologia aristotelica:

  • «un nome è un suono vocale significante per convenzione, senza indicazione di tempo, nessuna parte del quale è significante separatamente»;
  • «un verbo è ciò che in aggiunta significa il tempo, nessuna parte del quale significa separatamente; ed è sempre segno delle cose dette di qualcos’altro».

Nome e verbo hanno una significazione di base simile: la parola “corsa” ed il predicato “correre” indicano il medesimo concetto, ad esempio. Il legame tra l’espressione “la corsa” ed il suo significato “il correre” resta, ovviamente, convenzionale, cioè finalizzato alla comunicazione. Tuttavia, nome e verbo possiedono due dimensioni distinte. Il verbo “correre”, infatti, colloca, inevitabilmente, il suo significato in un preciso momento temporale – ad esempio, io corro (cioè ora, adesso!) -; il verbo, inoltre, predica sempre un qualcosa, ovvero è il significato di un qualcosa che, per l’appunto, viene predicato.

L’enunciato “dichiarativo” – o “apofantico” – è quello «in cui si danno l’essere vero o l’essere falso». Aristotele distingue l’enunciato dichiarativo semplice da quello composto. Di quello semplice fornisce poi una ulteriore doppia divisione:

  • «un’affermazione è un’enunciazione dichiarativa di qualcosa in attribuzione a qualcosa […]»;
  • «[…] una negazione è un’enunciazione dichiarativa di qualcosa in separazione da qualcosa».

In sintesi: l’affermazione unisce un nome ad un predicato, mentre la negazione li divide e separa.

Sulla base della loro quantità – universale, particolare, indefinita o singolare – e della loro qualità – affermativa o negativa -, Aristotele elabora la seguente griglia di enunciati:

  • universale affermativoogni uomo è giusto;
  • universale negativonessun uomo è giusto;
  • particolare affermativoqualche uomo è giusto;
  • particolare negativoqualche uomo non è giusto;
  • indefinito affermativoun uomo è giusto;
  • indefinito negativoun uomo non è giusto;
  • singolare affermativo: questo uomo è giusto;
  • singolare negativoquesto uomo non è giusto.

Un enunciato universale affermativo ha come negazione il corrispondente particolare negativo; l’universale negativo il corrispondente particolare affermativo mentre il singolare affermativo il proprio singolare negativo. Si chiama «regola delle coppie contraddittorie». La contraddizione deriva dal fatto che nella coppia di enunciati uno dei membri è vero e l’altro è falso. Se, invece, nessuno dei due membri è vero ma possono essere entrambi falsi, allora non si parla più di contraddizione ma, bensì, di contrarietà: un enunciato universale affermativo ha nel corrispondente universale negativo il proprio contrario. Infine, un enunciato particolare affermativo e il corrispondente enunciato particolare negativo si trovano in un rapporto di subcontrarietà: non possono essere entrambi falsi ma, al contrario, possono mostrarsi entrambi veri. Si tratta di comprendere le relazioni logiche che sussistono tra un universale ed un particolare. Dove il particolare segue sempre dall’universale:

  • ogni uomo è giusto → qualche uomo è giusto
  • ogni uomo non è giusto → qualche uomo non è giusto

Si chiama «quadrato aristotelico» dove l’universale affermativo e negativo ed il particolare affermativo e negativo sono collocati sui quattro vertici.

Argomentazione più complessa quella che investe la riflessione sugli enunciati “modali” – introdotti dalle formule è possibile cheè impossibile cheè necessario che ecc. -. Facciamo un esempio: “oggi non sappiamo se domani scoppierà una guerra”. I due enunciati contraddittori, domani scoppierà una guerradomani non scoppierà una guerra, sono già ora un vero ed un falso – cioè, in rispetto alla legge di poco prima, un membro della coppia è vero e l’altro falso -. Quindi ciò che accadrà domani è già oggi determinato e inevitabile – guerra o non guerra -. Quindi se un enunciato è vero allora quel qualcosa deve accadere, se falso, il contrario. Ma Aristotele non abbraccia la rigidità di questa implicazione logica; alla contraddizione aggiunge la disgiunzione. Il modo corretto per formulare quest enunciati diviene il seguente: o domani ci sarà una guerra o domani non ci sarà una guerra. Oggi è ancora indeterminato quel che accadrà domani ma, ciò nonostante, è possibile che un enunciato si mostri più probabile di un altro:

[…] è necessario che domani ci sia una battaglia navale oppure non ci sia, però non è necessario che domani avvenga una battaglia navale, né che non avvenga. […] È necessario che uno dei due membri della coppia di enunciati contraddittori sia vero o falso, non però questo o quest’altro, ma come capita, è che sia più vero uno dei due, ma non ancora vero o falso.

In pratica, su enunciati che trattano “possibilità” future, la «regola delle coppie contraddittorie» non può valere, data la contingenza dell’evento stesso. Più che altro, Aristotele sembra voler evidenziare la veridicità e la falsità di un enunciato, tenendo in considerazione il tempo: l’enunciato medesimo, infatti, potrebbe essere vero o falso a seconda di un certo momento.

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