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Pongo adesso l’attenzione su due dilemmi – o pecche o, addirittura, mancanze – inerenti al metodo elaborato dallo stesso Descartes. Trovo anche particolarmente emblematico il fatto che il primo dei due verta sul concetto di “Dio”, mentre il secondo su quello di “uomo”:
- Abbiamo sostenuto come, tramite il principio di causalità, diventi fondamentale che le cause, che originano le idee, abbiano almeno tanta realtà formale quanto quella oggettiva, posseduta dalle idee medesime. Ma questa congettura cartesiana mostra, ad ogni modo, un lato debole. L’idea di Dio, in quanto frutto della res cogitans, potrebbe anche essere considerata alla stregua di un mero attributo della mente umana. E un attributo non può avere più realtà della sostanza. In poche parole, rigirando la semantica cartesiana: l’idea di Dio non può possedere tanta o più realtà di Dio stesso; perché il primo resta un mero attributo, mentre il secondo pura sostanza. Se dovessimo accogliere questa critica, noteremmo come Descartes abbia – pesantemente – forzato il concetto sia di casualità sia di trascendenza, poiché bisognoso – a tutti i costi, verrebbe quasi da dire – di avere un punto fermo («una verità prima») da cui far partire tutto il funzionamento del suo stesso paradigma epistemologico.
- Per comprendere il secondo dilemma, dobbiamo prima rimarcare alcuni concetti. Riducendo tutto il Mondo naturale alla mera res extensa, il razionalista afferma come per lui la fisica strincto sensu sia assolutamente ed imprescindibilmente meccanicistica. Tutta la realtà è un’infinita ed omogenea materia estesa, capace di muoversi, non sulla base di leggi o principi basati su di un particolare moto intrinseco, ma, al contrario, perché soggetta alle dinamiche della casualità efficiente – ovvero “i corpi si muovono in risposta ad urti subiti e/o causati da alcune parti della materia medesima” -. Se tutto è res extensa, allora significa che tutti i corpi, che popolano il Mondo fisico, debbano esser colti ed intesi alla stregua di meri meccanismi. Alcuni di questi – come, ad esempio, il corpo umano – sono meccanismi più perfetti e complessi di altri. Ma se tutti i corpi sono meccanismi, che ne è dell’anima? Per Descartes, l’âme è indipendente dalla materia. Il che significa che non solo l’anima non è ciò che genera e sviluppa la vita del corpo medesimo, ma anche che di esso non ne detta e regola il movimento. Ma è proprio qui che sorge un grosso problema filosofico. Perché spostando l’attenzione dal Mondo fisico lato sensu all’analisi sull’uomo, molte difficoltà iniziano a presentarsi dinanzi alla validità del metodo cartesiano. Ridurre l’uomo a semplice meccanismo regolato dalla sola res extensa è fuorviante. Lo stesso Descartes afferma che l’uomo è sia anima che corpo e che in esso non via sia una totale indipendenza tra la res extensa e la res cogitans. Ma allora come riuscire a trovare una soluzione all’assolutezza di questo dualismo? È la res cogitans che comanda sul corpo fisico? Eppure, in quanto essere umano, ognuno di noi potrebbe decidere di alzare un braccio per il solo desiderio di farlo e non perché glielo abbia ordinato la mente – la volontà umana può, dunque, aggirarle entrambe? -. Oppure è la res extensa che travalica la res cogitans? Descartes non fornisce risposta. Tenta, in vari modi, di giungere ad un assioma che permetta di comprendere il particolare tipo di equilibrio, sussistente nell’uomo, tra il suo “esser corpo” ed il suo “esser mente”, ma senza risultati esaustivi. Giungerà persino a darne una spiegazione fisiologia, appellandosi ad un ben preciso organo presente nel cervello: la ghiandola pineale. Una specie di punto di contatto tra l’anima ed il sistema nervoso dell’uomo: un contatto che vedrebbe coinvolto (anche) il corpo, perché “solleticato” da movimenti e spasmi muscolari di piccolissime parti di finissima materia corporea.
Concludo con un’ultima osservazione sul “dualismo” cartesiano. Consideriamo il seguente schema per meglio comprendere la distinzione tra mente – res cogitans – e corpo – res extensa -:
Dio ha il potere di compiere tutto ciò che noi intendiamo come chiaramente e distintamente possibile
↓
noi intendiamo chiaramente e distintamente che alla nostra essenza non appartiene se non di essere cose pensanti
↓
Dio può far sì che noi si esista, in quanto menti, separatamente dai nostri stessi corpi
↓
allora le nostre menti sono distinte dai corpi ai quali siamo uniti
Ma potremmo riscriverla anche nel seguente modo:
Dio è verace e non inganna
↓
noi intendiamo chiaramente e distintamente che alla nostra essenza non appartiene se non di essere cose pensanti
↓
allora le nostre menti sono distinte dai corpi ai quali siamo uniti
↓
dato che Dio ha il potere di compiere tutto ciò che noi intendiamo come chiaramente e distintamente possibile, può far sì allora che noi si esista, in quanto menti, separatamente dai nostri stessi corpi
Ma allora i sensi non sono del tutto ingannevoli? La percezione del nostro corpo ne è una chiara testimonianza. Ebbene i corpi esistono, ed è possibile dimostrarlo nel modo seguente:
veracità di Dio (premessa di principio) → involontarietà delle sensazioni ed inclinazione a considerarle derivanti dalle cose corporee (premessa fattuale) → esistenza reale dei corpi.
Il ragionamento è abbastanza semplice, in effetti: se le sensazioni non derivassero dai nostri corpi, il nostro errore percettivo non avrebbe mai soluzione. Vivremmo dunque in un duraturo inganno. Ma una volta stabilita la veracità di Dio, possiamo escludere che le sensazioni siano prodotte dalla mente. E, quindi, derivano per forza di cose dal corpo. Per la precisione, derivano dai “sensi interni” del nostro corpo, come la fame, la sete, ecc. Ovvio che siano sentimenti confusi. Ovvio che i sensi ingannino. Ma è proprio questa assenza di chiarezza che ci permette di comprendere come la nostra mente sia legata al nostro corpo. Potremmo quasi sostenere che l’interazione tra mente e corpo sia di natura causale – “provo una sensazione ed ho consapevolezza del mio corpo”-.
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